Per anni sono stata zitta mentre mia suocera mi insultava, sua figlia frugava nei miei album e le mie nipoti mandavano in frantumi il mio vaso preferito. Ma quando ha criticato ancora una volta la mia cucina, mi sono alzata e ho detto: «Basta». La stanza si è congelata. Mio marito mi ha guardata come se non mi avesse mai vista prima. Sua madre è rimasta senza fiato: «Come osi!», e io ho indicato la porta: «Rispettami, oppure andatevene». Quello che ha detto lui dopo ha cambiato tutto.
Il soggiorno rimbombava di risate e di piatti che sbattevano, ma Irene si sentiva soffocare. Olga rimetteva a posto l’insalata con un sorrisetto soddisfatto, le nipoti erano sdraiate sul suo letto a sfogliare gli album di foto, e la voce tonante di Dorothy Prisley echeggiava come un martello.
«Onestamente, Irene», dichiarò la suocera indicando la pentola fumante, «questo tuo borsch… sa di sbobba.»
Le nipoti ridacchiarono. Olga sogghignò. Victor restò in silenzio, con gli occhi incollati al piatto.
Le mani di Irene tremavano mentre puliva una macchia invisibile dal bancone. Il suo vaso preferito era in pezzi, il divano trascinato dall’altra parte della stanza, i suoi ricordi privati sparsi da mani incuranti. Si morse il labbro finché non sentì il sapore del sangue.
«E l’ho sempre detto», continuò Dorothy Prisley, «sei una pessima massaia. Ai miei tempi—»
«Basta.»
Quella singola parola tagliò il rumore come una lama. Le forchette si fermarono a mezz’aria, le nipoti smisero di ridacchiare, la mandibola di Olga si abbassò. Perfino Victor sbatté le palpebre come se si fosse appena svegliato da un sogno.
«Cosa hai detto?», domandò Dorothy Prisley.
«Ho detto—basta.» La voce di Irene era calma, ma ferma. «Basta umiliazioni a casa mia. Basta critiche, basta prese in giro. Finisce ora.»
Olga cercò di riderci su. «Irene, non essere drammatica—»
Irene si voltò, gli occhi in fiamme. «No. Adesso ascoltate voi. Per un anno vi ho guardato calpestare la mia vita. Avete spostato i miei mobili, rovinato le mie cose, frugato nei miei album privati. E io sono stata zitta. Non più. Questa è casa mia. MIA. D’ora in poi valgono le mie regole.»
Un mormorio riempì la stanza. Il viso di Dorothy Prisley diventò cremisi. «Come osi!»
«Oso», ribatté Irene. Indicò la porta. «Volete rispetto? Datelo per prime. Altrimenti—uscite.»
Tutti gli sguardi si voltarono verso Victor. Da un lato ardeva la furia di sua madre, dall’altro la sfida tremante di sua moglie. Trent’anni di silenzio in equilibrio sul filo delle sue prossime parole…