Intrighi alle spalle.

Daria Kirillovna assaggiò un sorso di caffè e avvertì in bocca un sapore bruciante, come di sostanza chimica. Si precipitò in bagno e sciacquò la bocca.
Il suo stesso riflesso nel grande specchio la guardava con terrore, e non era certo per nulla sorprendente!

«Prima mi hanno fatto dei piccoli scherzi di nascosto, e adesso addirittura avvelenano il caffè… Fino a che punto potrà arrivare mia nuora?» pensò Daria Kirillovna.

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Già prima del matrimonio Alexander aveva avvertito la fidanzata:
– Vivremo con mia madre. La sua salute è cagionevole e io mi preoccuperò se non sarò lì con lei.
– Certo, certo – fece cenno assentendo Anastasia – ti voglio bene, e anche a tua madre, andremo d’accordo senza problemi.
Daria Kirillovna non aveva obiettato:
– La casa è grande, ci incontreremo giusto a colazione e a cena, non darò fastidio, vivete pure!

All’inizio tutto filava liscio: Daria Kirillovna vedeva i giovani solo a colazione e a cena, a volte guardavano un film tutti insieme, poi ognuno tornava nella propria stanza.
«Ma perché dicono che due padrone in una stessa cucina non possano andare d’accordo?» si domandava Daria Kirillovna. «Io e Nastja andiamo d’incanto».

Una mattina, preparandosi per lavorare in giardino, Daria Kirillovna infilò i guanti e quasi si lasciò sfuggire un grido di dolore: qualcosa le si era conficcato nel dito.
«Un bottone! Ma da dove sarà spuntato?» si meravigliò la donna, scuotendo il guanto e facendo cadere l’oggetto.
Non diede molta importanza all’accaduto: buttò il bottone, fasciò il dito e andò a lavorare.

Qualche giorno dopo, frugando nella terra, si ferì con un coccio di vetro. Il taglio era profondo e dovette tenersi la mano al riparo, rinunciando a fare le faccende di casa per una settimana. Spetterono tutte ad Anastasia, che ne fu terribilmente infastidita:
– Non mi sono fatta assumere come serva! Di occuparmi di tuo marito posso anche farlo, ma della tua stanza e dei tuoi pasti no. Assumete una colf, non siamo mica al risparmio!

Daria Kirillovna arrossì d’imbarazzo e voleva lasciar correre, ma Alexander prese la difesa della madre:
– Nastja, ti ricordi del nostro accordo? Io mantengo la famiglia, tu ti occupi della casa. Aiuta la mamma, è un caso di forza maggiore. E poi, quando tu stavi male, proprio lei ti ha preparato il brodo e ti ha lavato i vestiti.

– Eppure non lo farò – sbottò Anastasia, battendo i tacchi – credi di avermi comprata?

Daria Kirillovna si senti umiliata, corse nella sua stanza, ma persino lì percepì echi di discussione: «Fa finta… Sei una mammona, non è normale per un uomo vivere con la mamma… Ora sappiamo chi ami di più».

Più tardi Alexander si scusò con la madre:
– Non capisco cosa le sia preso a Nastja, è come se fosse un’altra persona! La costringerò a chiederti perdono.

Il giorno dopo Anastasia, chinando lo sguardo, chiese scusa a Daria Kirillovna, attribuendo il suo sfogo a un malumore passeggero e domandando:
– Spero che non ti offenderai. Siamo di nuovo in pace?
– Certo, non preoccuparti.

«Quello che davvero mi turba, però, è come quei cocci di vetro siano finiti nella terra», rifletté Daria Kirillovna.
Con cautela smosse un’aiuola e trovò altri frammenti, come se qualcuno avesse frantumato una bottiglia e mischiasse i cocci con la terra. Solo che lei curava il suo giardino con grande dedizione e giurava che niente di tutto ciò ci fosse mai stato.

Nei giorni successivi ci furono altri piccoli incidenti: il suo blazer preferito macchiato di un colore rosso dopo il lavaggio, le piante in casa appassite nonostante fosse lei ad averne cura, e lei stessa scivolò sulle scale a causa di olio versato. Nessuno seppe spiegare come fosse finito lì.

Presi singolarmente quei piccoli eventi non significavano molto, ma erano troppi e Daria Kirillovna si chiese: «Saranno tutte coincidenze?»
«E se qualcuno mi stesse davvero prendendo di mira? Ma chi? Solo Nastja potrebbe farlo… e perché?», si tormentava la suocera.

Non si sa cosa le avesse detto Alexander, ma dopo lo scontro la nuora tornò ad essere affettuosa come un gattino.
Senza obiettare lavava il pavimento, cucinava per Daria Kirillovna finché la mano non guarì, la chiamava ogni giorno per sapere come stava e la ricordava di prendere puntualmente le medicine. Insomma, Anastasia si comportava come chi non spargerebbe certo olio sulle scale o macchierebbe gli abiti di un’altra.

Si era messa a farle visita nella sua “mezza casa” per fare quattro chiacchiere, mostrandole foto di interni e annunci di case in vendita.
– Guardi che bella villa si vende qui vicino! – escluse un giorno. – Grande, piena di luce, con un giardino dove verrebbe uno splendido roseto.
– Sì, sembra proprio bella – concordò Daria Kirillovna.
– Vuole comprarla? – chiese Anastasia a sorpresa.
– Perché dovrei volerne una seconda?
– Non seconda, la prima! Qui vi diamo fastidio, a volte avete bisogno di solitudine e lì starebbe bene.

Daria Kirillovna guardò la nuora con maggiore attenzione: Anastasia la fissava con un’innocenza studiata, un po’ troppo intensa.
– Ho già un’abitazione: questa – iniziò con gentilezza la suocera – qui ho investito tempo e ricordi preziosi, non me ne andrò. – In secondo luogo, se credi che mi manchi un po’ di solitudine, puoi trasferirti tu nella tua parte di casa.

Dietro la maschera del gattino apparve un lampo di rabbia: Anastasia balzò fuori dalla stanza.
– Che succede? – chiese Alexander entrando la sera dalla madre. – Anastasia ha detto che le hai parlato male e l’hai cacciata via.
– Ha provato a cacciarmi di casa – rispose Daria Kirillovna, raccontando brevemente il dialogo.

– Dimmi la verità: ti do fastidio? Vuoi restare da sola? Se è così puoi trasferirti, me la cavo da solo.
– Figuriamoci, mamma! Dal principio abbiamo deciso di vivere insieme, non capisco nemmeno io cosa stia succedendo, chiederò a Nastja.

– Non è normale vivere con la suocera, ecco il problema – sbottò Anastasia quando il marito sollevò la questione. – O tua madre si trasferisce, o ce ne andiamo noi.
– Te l’avevo già detto: la mamma si ammala spesso e voglio starle accanto. Te l’avevo spiegato prima delle nozze e tu hai accettato.

– Pensavo scherzassi! – esclamò Anastasia – credevo ci saremmo fermati qui per un po’, poi lasciato soli. E i bambini? Non posso farli nascere in un comunione!

«Non ha idea di cosa significhi una casa in comune», sospirò Daria Kirillovna, che aveva udito quella frase in ogni stanza dell’enorme villa.
– Restiamo tutti qui, punto e basta! – disse deciso Alexander – io ho proposto, tu hai accettato, fine.

Se Alexander sperava che la sua fermezza intimidisse la moglie, si sbagliava: Anastasia riprese a pungolare la suocera sul minimo.
– Qui c’è un odore strano… sa di vecchia – osservò un giorno, aggrottando il naso. Poi guardò Daria Kirillovna come per fiutare meglio e avvicinò furtivamente un fazzoletto umido al suo viso.

Daria Kirillovna annusò per precauzione, percepì solo una lieve fragranza di profumo.
«Questa ragazzina cerca di farmi impazzire» capì. «Lascia che si eserciti, io sono più forte di lei».

Da allora ignorò ogni commento di Anastasia sul fatto che dopo i sessanta anni fosse ora di una casa di riposo, o che solo le madri squilibrate dipendono dal figlio come fosse un marito, o che alle donne anziane non dona un abito sgargiante perché fa solo triste figura.

Solo una volta Anastasia riuscì a farla perdere le staffe, insinuando che Alexander fosse più che altro un sostituto di marito per Daria Kirillovna.
La suocera si girò di scatto, afferrò Anastasia per il mento e le tenne il viso fermo.
– Pensa a quello che dici – le intimò – spargere voci infami è da bieche: solo le peggiori meschine si comportano così.

Daria Kirillovna parlava con voce pacata, senza proferire una parola volgare, ma i suoi occhi fulminavano la nuora, che si ritirò sconvolta.
– Non volevo offendere… – balbettò Anastasia quando la suocera finalmente la lasciò andare.
– D’ora in poi rifletti prima di parlare – ordinò Daria Kirillovna.

Da quel giorno evitò la nuora, pensando che fosse più semplice così. Anastasia parve a sua volta ritirarsi, ma presto ripresero gli strani incidenti: qualcuno mise della chimica nel caffè di Daria Kirillovna, per fortuna se n’era accorta in tempo e aveva risciacquato la bocca. Il suo roseto preferito fu devastato, la serratura del bagno si guastò e la tennero chiusa dentro per ore, finché il figlio non tornò.

La suocera non poteva però accusare Anastasia: i vandali potevano essere ragazzini del vicinato, la serratura aveva potuto incepparsi da sola.

«Per il caffè, invece, la colpa è inequivocabile, ma non l’ho beccata sul fatto. Nessuna prova, parola mia contro parola sua. Comunque non mi caccerà di casa».

Anastasia, forse fiutando la sua determinazione, passò alle vie di fatto. Daria Kirillovna, affetta da diversi disturbi cronici, cominciò a star sempre peggio, nonostante prendesse regolarmente le medicine. Il medico aumentò la dose, senza risultati.

Un giorno, mentre prendeva le pastiglie dalla confezione, notò che erano leggermente più piccole del solito.
«E se Anastasia avesse sostituito i farmaci?» pensò preoccupata. «Aveva l’opportunità e la mia stanza non era mai chiusa a chiave».

Decise di comprare medicine nuove, tenerle sempre con sé e prenderle quando era sola. Anastasia, notando il cambiamento, chiese:
– Allora non prendi più quelle medicine?
– Sto meglio e me le hanno sospese – mentì Daria Kirillovna.
Anastasia la squadrò con sospetto.

«Mi farà impazzire se continuo così. Devo dirlo ad Alexander, ma con cautela, non vorrei che pensasse che sto delirando».

Mentre cercava il modo più delicato per confidarsi col figlio, Anastasia sferrò l’ultimo colpo.
Tornata a casa una sera, Daria Kirillovna si accorse subito di un’allergia: starnutiva e gli occhi lacrimavano. La causa fu un gattino grigio.
– Te l’avevo detto: mia madre è allergica a cani e gatti – rimproverò Alexander alla moglie qualche ora dopo, dopo che madre e nuora avevano già litigato (la prima per l’allergia, la seconda per l’umiliazione).
– Dimenticavo! – sbottò Anastasia – può prendere un antistaminico, ne ingoia a manciate… Non potevo ignorare questo povero micetto, è così dolce…

– E allergenico – ribatté Daria Kirillovna – amo gli animali, ma sceglierei sempre la mamma.
– Davvero lo butterai fuori? – protestò Anastasia.
– Certo che no. O lo riporti al rifugio o gliene trovi uno nuovo subito.
– Va bene… domani mi attivo – disse Anastasia in tono sospettosamente tranquillo.

Quella notte Daria Kirillovna rimase in agguato, serrata nella propria stanza con le sue medicine.

«Tanto sono poche ore, posso resistere» si consolò. Era certa che Anastasia avesse portato il gatto di proposito, ma non aveva il coraggio di abbandonarlo. Lo nutrì e lo accudì, perché la nuora se ne era subito dimenticata.
– Siamo entrambe vittime di questa storia, non ti rimprovero – mormorò Daria Kirillovna accarezzando il gattino.

Anastasia interpretò il gesto come un invito a lasciar stare il micio e non si affrettò certo nella ricerca di una nuova famiglia. Quando Alexander minacciò di buttare fuori il gatto, la nuora scoppiò in lacrime e lo accusò di crudeltà:
– Sarebbe stato meglio se tua madre se ne fosse andata! Allora tutti avremmo vissuto felici, e quel povero animale avrebbe avuto una casa. Mi spiace tanto per lui.
– Se ti dispiacesse davvero, l’avresti nutrito e curato tu – sbottò Daria Kirillovna – ora tocca a me e ad Alexander, anche se inizialmente non lo volevo proprio.
– Se tu e lui vi prendete cura, allora la tua allergia forse è finta – insinuò Anastasia – chi lo sa? Magari è tutta recita.
– Non ne posso più, vado da un’amica – dichiarò Daria Kirillovna.

Quella notte, sdraiata nel letto di un’altra donna, capì che il piano di Anastasia aveva funzionato: era riuscita a cacciare la suocera da casa. Una rabbia rossa le salì al petto: «Come ho potuto farmi scacciare così? Devo risolvere questa situazione».

Il giorno dopo tornò a casa sapendo che Alexander sarebbe stato fuori fino a sera, e che Anastasia avrebbe passato la giornata in palestra, poi al centro estetico e infine da amiche. A casa la accolse solo il gatto triste e affamato.
– Non temere, tutto si risolverà – gli sussurrò accarezzandolo.

La sera, Anastasia tornò e trovò i suoi bagagli ammassati sulla soglia. La porta non si aprì: la chiave non girava più.
Daria Kirillovna sbucò sulla soglia e disse con calma:
– Sei chiusa fuori – annunciò – mi sono stancata dei tuoi colpi bassi. Vado via da adulta: fuori te, e se Alexander ti sostiene, se ne andrà anche lui assieme a te e al tuo gatto di pezza.

Chiuse la porta lasciando Anastasia furiosa e urlante sullo zerbino.
Quando Alexander rincasò, mandò la moglie ad aspettare in macchina e ascoltò il racconto della madre sulle ultime settimane. A ogni frase divenne più cupo, poi chiese:
– Perché non mi hai detto nulla?
– Perché non avevo prove, avresti pensato che mentivo. Ma ora non mi interessa: non voglio più lottare, ho deciso i miei confini. Tu resti o te ne vai?
– Me ne vado – decise Alexander – resta comunque Anastasia mia moglie…

Tornò a vivere con la madre dopo una settimana. Non spiegò cosa fosse successo tra loro, ma dalle sue occhiaie Daria Kirillovna capì che Anastasia aveva reso infelice anche lui.
– Mi sento in colpa per il vostro divorzio – disse un giorno. – Sembra colpa mia se vi ho portato a separarvi.
Alexander scosse la testa:
– Non devi sentirti in colpa, hai solo cercato di conviverci, hai sopportato le sue marachelle e persino il suo gatto. A proposito, l’hai davvero rimandato al rifugio?
– Certo che no – rispose la madre con un sorriso – gli ho trovato una casa migliore, con gente che lo ama. Io sono una brava persona, e i bravi non si vendicano sugli innocenti.

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