Non avrei mai pensato che mi sarei sposata una seconda volta. Dopo un primo matrimonio deludente, mi ero detta che avrei vissuto da sola, mi sarei concentrata sulla carriera e avrei goduto la vita alle mie condizioni. Poi il destino mi ha portata da Daniel, un uomo completamente diverso dal mio passato. Non solo mi ha mostrato cos’è il vero amore; mi ha fatto credere che la felicità mi stesse ancora aspettando. Se c’è una cosa di cui sono certa nella mia vita, è che non ho mai rimpianto la decisione di divorziare. E, ancor di più, non ho mai rimpianto di aver scelto di andare avanti con Daniel.
Ora ho 38 anni e sono sposata con Daniel da cinque anni. Non abbiamo figli, ma non è mai stato un problema tra noi. Anzi, custodiamo il nostro matrimonio a modo nostro, trovando sempre tempo l’uno per l’altra, per quanto la vita sia frenetica. Daniel è un uomo di parola. Non ha mai saltato una delle nostre serate insieme. Ogni mese, nei nostri piccoli anniversari, organizza qualcosa di speciale. A volte è una semplice cena a casa con vino e candele; altre volte, una breve fuga al mare, un luogo che amo. Con Daniel mi sento sempre valorizzata, qualcosa che non ho mai davvero provato nel mio primo matrimonio.
Stasera non fa eccezione. Daniel ha prenotato un ristorante di alto livello proprio sulla baia di San Francisco. Mi ha detto che il locale aveva una vista mozzafiato sull’oceano, con luci scintillanti che si riflettono sull’acqua al calare della notte. L’avevo aspettata per tutta la settimana, non solo per il ristorante, ma perché sapevo che con Daniel tutto sarebbe stato speciale. Un tempo pensavo che l’amore fosse un lusso non destinato a me, ma forse mi sbagliavo.
Quella sera, il ristorante scelto da Daniel era ancora più bello di come l’avevo immaginato. Arroccato su una scogliera affacciata sulla baia, era circondato da ampie vetrate che riflettevano il caldo bagliore delle luci dorate. Eleganti tovaglie bianche coprivano ogni tavolo, con candele tremolanti ad alimentare l’atmosfera. In sottofondo, una melodia soffusa di pianoforte rendeva l’ambiente ancora più romantico.
Guardai Daniel dall’altra parte del tavolo, i suoi occhi colmi di quel calore familiare mentre mi versava un bicchiere di vino. «Ti piace?» sorrise Daniel, con voce profonda e gentile.
«Lo adoro», risposi, incapace di nascondere la felicità.
Ci godemmo la cena, con conversazioni che scorrevano senza sforzo. Daniel sapeva sempre come mettermi a mio agio e farmi apprezzare ogni momento insieme. Pensavo che la serata sarebbe stata perfetta, una tranquilla ricorrenza immune al passato. Ma il destino sembra avere sempre un modo per metterci alla prova.
Verso la fine del pasto, Daniel si alzò, mi baciò delicatamente la fronte e si allontanò. «Torno subito. Aspettami qui.» Lasciò il tavolo per andare in bagno mentre io mi voltavo verso la grande vetrata, lasciandomi ipnotizzare dalla bellezza dell’oceano notturno.
Non so quanto tempo rimasi a fissare, persa nei pensieri, finché una voce familiare ma distante parlò alle mie spalle. «Ti piace ancora guardare il mare, eh? Ma per una come te, per quanto sia bello, il mare non cambierà la realtà.»
Tutto il mio corpo si bloccò. Un brivido mi corse lungo la schiena mentre giravo lentamente la testa, e lo vidi. Jim Turner, l’uomo che dieci anni fa chiamavo marito. Si sedette proprio nel posto che Daniel aveva appena lasciato, come se gli appartenesse. Un’ondata di disagio mi attraversò, ma mi imposi di restare calma.
Jim non era cambiato molto dall’ultima volta che l’avevo visto. Stessa espressione compiaciuta, gli occhi stretti colmi di sufficienza. L’abito sembrava costoso, ma il suo viso portava i segni innegabili del tempo. Non aveva più l’aria tagliente e sicura di sé di un tempo.
Incrociai le braccia e mantenni la voce ferma. «È passato tanto tempo, Jim.»
Jim sogghignò. «Ah! Non pensavo di incontrarti in un posto come questo. Quindi puoi davvero permetterti un ristorante di lusso?» Lanciò uno sguardo in giro prima di appoggiarsi allo schienale, ghignando. «O è un’occasione speciale? Una cenetta d’anniversario una volta l’anno per cui hai dovuto mettere da parte i soldi?»
Sospirai, provando solo puro disgusto. Era sempre lo stesso: ancora a guardarmi dall’alto in basso, ancora a comportarsi come se fosse superiore, anche se da tempo non facevamo più parte della vita dell’altro.
«Che peccato, Jim, ma ti sbagli», gli offrii un piccolo sorriso consapevole, sostenendo il suo sguardo. «Sono qui perché mio marito ha voluto portarmi, non perché ho dovuto risparmiare, e di certo non perché non potessi permettermelo.»
Jim scoppiò a ridere forte, scuotendo la testa. «Tuo marito, eh? Un tizio qualunque? Non dirmi che sei stata così sciocca da sposare un altro squattrinato.»
Non risposi, limitandomi a guardarlo con incrollabile calma. Jim, incoraggiato dal mio silenzio, si sporse in avanti, incrociando le braccia. La sua voce grondava scherno. «Che c’è? Non dirmi che indossi ancora vestiti economici come prima. O forse il tuo nuovo marito non è meglio di me, appena appena se la cava, ti porta qui una volta e poi ti riporta nella solita vita miserabile.»
Rimasi in silenzio, ma dentro di me cominciava a salire una rabbia lenta e rovente. Non rimpiangevo di aver lasciato quell’uomo, ma detestavo il modo in cui continuava a trattarmi come uno scherzo. Lanciai uno sguardo verso il bagno, sperando che Daniel tornasse presto. Proprio in quel momento, però, Jim fece una risatina.
«O forse», disse lentamente, con gli occhi che brillavano di scherno, «non gli hai ancora raccontato il tuo passato? Il fatto che una volta fossi sposata con Jim Turner, un uomo di successo?»
Socchiusi gli occhi. «Di successo?» Scoppiò una risata che non riuscii a trattenere. «Davvero? Sei ancora un uomo di successo? Se è così, dov’è tua moglie? O sei in giro da solo a cercare vecchie fiamme per sfogare le tue frustrazioni?»
Jim serrò la mascella, l’espressione incupita per un attimo. Ma prima che potesse rispondere, una voce profonda e ferma parlò proprio dietro di me. «Mi scusi, ma sta sedendo al mio posto.»
Alzai lo sguardo. Daniel era lì, il volto calmo, anche se lo sguardo acuto valutava chiaramente la situazione. E da come stava guardando Jim, capii che non era finita.
Daniel tirò fuori la sedia e si sedette accanto a me, gli occhi che scorrevano Jim con fredda indifferenza. Vedevo la sua compostezza, ma sapevo anche che Daniel non era il tipo da tollerare facilmente la mancanza di rispetto.
Jim si appoggiò allo schienale, incrociò le braccia al petto con un sorrisetto. «Oh, quindi questo è tuo marito?» Lo squadrò dall’alto in basso prima di sogghignare. «Sembra decente, immagino. Ma scommetto che non è esattamente ricco, vero? Un altro impiegatuccio medio, giusto?»
Daniel non rispose subito. Sorseggiò il vino, poi posò il bicchiere sul tavolo, lo sguardo tagliente ma il tono saldo. «Non credo di dover dimostrare nulla a lei.»
Jim scoppiò a ridere, grondando sarcasmo. «Oh, sei elegante, te lo concedo. Ma diciamocela tutta. So perfettamente che tipo di donna è Sandra. Non ha mai avuto nulla di suo. Se l’hai sposata, vuol dire che neanche tu te la passi poi così bene.»
Stringevo più forte il calice. Non perché le sue parole mi ferissero — non lo facevano — ma perché aveva ancora la stessa attitudine, ancora mi vedeva come qualcuno inferiore, dopo tutti questi anni.
Jim sollevò il mento, la voce piena d’arroganza. «Io sono diverso. Qui ci vengo spesso. Questo ristorante è uno dei miei preferiti, non un posto in cui metto piede di rado.» Si voltò lentamente verso di me, allargando il sorriso tronfio. «Devi aver risparmiato un bel po’ solo per essere qui stasera, eh?»
Non risposi, limitandomi a fissarlo in silenzio. Ma Daniel posò con calma la mano sul tavolo, la voce composta ma carica di significato. «Dici che vieni qui spesso?»
«Certo», Jim si appoggiò con una scrollata. «A differenza vostra, qui ci posso venire quando voglio. Guadagno abbastanza per godermi le cose belle della vita senza preoccuparmene.»
In quel momento, una donna si avvicinò al nostro tavolo. La riconobbi subito: Monica, la donna per cui Jim mi aveva lasciata. Ma ora, non aveva più il bagliore di un tempo. Il suo viso era segnato dalla stanchezza, la pelle aveva perso la freschezza giovanile e gli occhi erano pieni di tensione. Il vestito che indossava sembrava elegante ma non le stava più come prima, come se fosse stato comprato anni fa.
Monica posò un conto sul tavolo davanti a Jim, la voce tagliente. «Hanno detto che devi pagare adesso.»
Jim trasalì appena, ma recuperò in fretta l’arroganza. Tirò fuori il portafoglio, anche se i movimenti erano lenti, come se stesse facendo dei conti.
Daniel mi lanciò un’occhiata, poi si sporse leggermente, parlando abbastanza piano da farmi sentire: «Pensi davvero che qui ci venga spesso?»
Non risposi, ma un piccolo sorriso mi incurvò le labbra.
Jim porse la carta a Monica, che la consegnò al cameriere. Il cameriere, però, esitò, poi lo guardò con aria desolata. «Mi dispiace, ma questa carta è stata rifiutata.»
Il volto di Jim si rabbuiò all’istante. Monica incrociò le braccia, fissandolo torva. «Hai detto che qui ci vieni sempre! Perché la carta è rifiutata?»
Jim balbettò goffamente. «Forse… forse c’è un problema con la banca. Fammi provare con un’altra carta.»
Ma proprio mentre tirava fuori la seconda carta, Daniel lasciò sfuggire una risatina sommessa. «Sembra che le cose non siano proprio come hai raccontato, eh?»
Jim lanciò a Daniel un’occhiata feroce, ma non ebbe replica. Vidi la sua mano serrarsi, come se stesse cercando di soffocare la frustrazione.
Monica sospirò, scuotendo la testa. «È l’ultima volta che esco con te.» Si voltò e se ne andò, lasciando Jim seduto lì, stordito e umiliato.
Mi appoggiai allo schienale, sollevando lentamente il calice per bere un sorso. «Dicevi che qui ci vieni spesso? Sembra che stasera faccia eccezione.»
Jim digrignò i denti, ma non disse nulla.
Daniel sorrise appena, poi posò la mano sul tavolo. «La nostra cena è finita, amore.» Mi guardò, lo sguardo dolce. «Andiamo?»
Annuii, alzandomi insieme a Daniel. Jim rimase seduto a guardarci andare via e, per la prima volta dopo anni, mi sentii completamente libera dall’ombra del passato.
Jim cercò di recuperare un briciolo di dignità dopo che Monica se ne fu andata. Si schiarì la gola, provando a ritrovare sicurezza, guardando me e Daniel con aria di sfida. «Be’, non m’interessano queste sciocchezze», scrollò le spalle, cercando di sembrare indifferente. «I problemi di denaro sono solo temporanei. Sono un senior manager alla Anderson Corporation. Il mio stipendio copre facilmente serate come questa.»
Trattenni a stento una risata, mantenendo la calma. Daniel restò imperturbabile, comodamente appoggiato allo schienale, gli occhi fissi su Jim come in attesa di vedere cos’altro avrebbe detto.
Jim continuò a vantarsi: «Sai, la Anderson Corporation non è una società qualunque. Ho una posizione rispettabile lì. Non sono un impiegatuccio. Essere manager in una grande corporation significa non dovermi preoccupare dei soldi.» Mi lanciò uno sguardo trionfante. «Alcune persone hanno la fortuna di uscire dalla povertà sposando qualcuno più benestante, ma tu, Sandra, qui ti fermi. Non arriverai mai al mio livello.»
Daniel rise piano, poi estrasse con nonchalance una carta dal portafoglio e la posò sul tavolo. Era una carta nera elegante, dalla superficie metallica che brillava sotto le luci soffuse del ristorante. Il cameriere s’inchinò subito con rispetto e prese la carta. «Grazie, signor Kingston. Procediamo subito con il pagamento.»
Un silenzio pesante calò sul tavolo. Vidi il volto di Jim irrigidirsi. Fissava la carta come se non credesse ai propri occhi.
«Cosa… cosa?» balbettò, con lo sguardo spalancato dalla confusione.
Il cameriere tornò presto, porgendo la carta a Daniel insieme alla ricevuta. «Grazie mille, signor Kingston. È un onore servirla.»
Jim aggrottò la fronte. «Aspetta… Kingston?» Si voltò verso di me, il sospetto che gli tingeva la voce. «Non dirmi che… impossibile.»
Gli rivolsi un piccolo sorriso, incrociando le braccia mentre lo fissavo dritto negli occhi. «Mio marito è Daniel Kingston, il presidente della Anderson Corporation.»
Jim si immobilizzò, la bocca appena socchiusa, come se volesse dire qualcosa ma non trovasse le parole.
Inclinai leggermente la testa e proseguii, con tono leggero ma pungente: «Quindi, Jim, lavori davvero alla Anderson Corporation, vero? Allora immagino che tu conosca bene il presidente.»
Il viso di Jim impallidì, poi arrossì di colpo. Deglutì, cercando di mantenere il controllo, ma lo shock era innegabile.
Daniel lo guardò, la voce calma ma tagliente. «Ascolta, Jim, non mi interessa il passato di mia moglie, ma non gradisco che qualcuno la manchi di rispetto.» Mi versò con delicatezza altro vino, poi continuò. «Non sono un impiegato di basso livello come presumi, e mia moglie, Sandra, non è soltanto una donna fortunata che ha sposato un ricco. È capace, intelligente ed è una partner importante nel mio lavoro.»
Incrociai le braccia e sorrisi. «Sono la vicepresidente della Anderson Corporation, Jim.»
Jim parve come se avesse appena incassato un pugno in pieno volto. «Ahah, è uno scherzo, vero?» rise nervosamente, ma gli occhi tradivano il panico. «Come potresti? È impossibile. Eri solo un’impiegata di basso livello.»
Alzai le spalle. «Lo ero, ma non significa che sarei rimasta tale per sempre. Dopo il nostro divorzio, mi sono concentrata sulla carriera, ho conseguito la laurea in economia e ho lavorato sodo. Un giorno la Anderson Corporation mi ha offerto una posizione manageriale, e da lì ho scalato i gradini. E come vedi, ora sono vicepresidente.»
La bocca di Jim rimase aperta, ma non riuscì a dire nulla.
Daniel bevve un sorso di vino, poi posò il bicchiere, lo sguardo affilato puntato su Jim. «Ti vanti di essere manager alla Anderson Corporation? Curioso, perché non ti ho mai notato.» Jim deglutì, cercando freneticamente nei ricordi. Aveva certamente sentito parlare del presidente Kingston, ma non avrebbe mai immaginato di averlo davanti.
Daniel proseguì, la voce ferma ma autorevole. «In realtà, non ho mai sentito nessuno in azienda nominare il tuo nome. Mi chiedo se tu sia davvero all’altezza di ciò che affermi o se sia solo qualcuno che è passato attraverso le maglie del sistema.»
Ridacchiai piano, inclinando la testa mentre lo guardavo divertita. «Allora, pensi ancora che io sia una poveraccia che può permettersi di venire qui solo nelle grandi occasioni?»
Jim non disse nulla. Rimase lì, come se avesse perso ogni certezza. E per la prima volta dopo anni, mi sentii completamente padrona della situazione. Ma non era ancora finita.
Dopo quella cena, pensai che con Jim fosse finalmente tutto alle spalle. Mi sbagliavo. La mattina seguente, appena varcata la soglia del mio ufficio, il telefono squillò ripetutamente. Sullo schermo compariva un numero sconosciuto. Un presentimento mi disse che non era nulla di buono. Esitai un istante, poi risposi. «Pronto?»
«Sandra?» La voce all’altro capo era esitante. La riconobbi subito. Era Jim.
Sospirai. «Che cosa vuoi?»
Jim si schiarì la gola, cercando di recuperare sicurezza, ma la voce lo tradiva. «Pensavo che potessimo parlare un momento… del mio lavoro.»
Lasciai uscire una risata fredda. «Perché dovrebbe importarmi?»
«C’è stato un malinteso ieri sera. Non volevo mancare di rispetto a te o a tuo marito», esitò. «Sono solo rimasto sorpreso. Nessuno avrebbe potuto immaginare che saresti stata vicepresidente, capisci? Sei solo… tu.»
Strinsi più forte il telefono. Anche mentre chiedeva aiuto, non riusciva a smettere di essere offensivo. «Jim», lo interruppi gelida, «hai chiamato solo per dirmi questo? Perché se è così, sono molto occupata.»
«Aspetta, Sandra, per favore!» La sua voce divenne più disperata. «Ho sentito della decisione di licenziarmi. Ci dev’essere un altro modo, no? Puoi parlare con tuo marito, convincerlo a farmi restare.»
Mi appoggiai allo schienale, incrociando le braccia. «E perché dovrei farlo?»
Jim tacque qualche secondo, poi il tono si fece amaro. «Perché, dopotutto, sei stata mia moglie. Me lo devi.»
Risi. «Io te lo devo? Sì, certo: oggi non saresti dov’eri senza di me. Se non fosse stato per me, saresti ancora un impiegatuccio senza futuro.»
Una rabbia lenta cominciò a ribollire dentro di me. «È questo che pensi davvero, Jim?» Parlai scandendo ogni parola. «Pensi davvero che io debba il mio successo a te?»
Silenzio. Per la prima volta sembrò rendersi conto di averla detta grossa.
Continuai: «Chiariamo una cosa. Sono dove sono oggi non grazie a te. Ci sono arrivata perché ho lavorato sodo, perché ho rifiutato di lasciare che qualcuno — incluso te — definisse il mio valore. E c’è una cosa che ancora non capisci.»
«Cosa?» chiese Jim, con una nota d’inquietudine nella voce.
«Non ti stanno licenziando per ieri sera. Ti stanno licenziando per il tuo atteggiamento, per come tratti i colleghi e per i commenti degradanti sulle donne in azienda.» La mia voce fu tagliente come una lama. «Era solo questione di tempo. Non hai nessuno da incolpare se non te stesso.»
«No, Sandra, ti prego!» La voce gli si spezzò, la disperazione crescente. «So di aver sbagliato. Non era mia intenzione. È solo il mio modo di parlare. Mi conosci, no? Stavo solo esagerando un po’.»
Scossi la testa, anche se non poteva vedermi. «No, Jim. Non stavi esagerando un po’. Sei stato irrispettoso. Hai mancato di rispetto a me e alle donne in azienda. E ora affronti le conseguenze.»
Ansimò, come se cercasse disperatamente un’ultima scusa. «Daniel è lì, vero?» chiese in fretta. «Fammi parlare con lui. Posso spiegare.»
Sbuffai. «Pensi davvero che mio marito ti ascolterà dopo tutto quello che hai detto?»
Jim era allo stremo. «Ti prego, Sandra. Perderò tutto. Non posso perdere questo lavoro.»
Sospirai, poi risposi fredda: «Avresti dovuto pensarci prima di aprire bocca e insultare la gente.» E riattaccai.
Pochi minuti dopo entrai in sala riunioni, dove Daniel stava rivedendo una pila di documenti. Alzò lo sguardo non appena mi vide, come se sapesse già. «Ti ha chiamata Jim, vero?» La sua voce era calma.
Annuii. «Mi ha supplicata di aiutarlo a tenersi il lavoro.»
Daniel si appoggiò allo schienale, espirando piano. «Immaginavo.»
Alzai le spalle. «Non vede ancora i suoi errori.»
Daniel annuì, poi prese la penna e firmò il documento davanti a sé. «Allora impari questa lezione nel modo più duro.» Diedi un’occhiata al foglio: l’ordine di licenziamento di Jim. E per la prima volta dopo anni, mi sentii completamente in pace.
Ma Daniel non licenziò subito Jim. Prese invece una decisione che non mi aspettavo. Lo riassegnò alla filiale dell’Ohio. Conoscevo quella sede: un piccolo ufficio in una cittadina remota, quasi dimenticata dalla corporation. Lì, Jim non avrebbe avuto un grande team, nessuna possibilità di avanzamento e, soprattutto, nessuna autorità da sfruttare.
Quando Jim ricevette l’avviso di trasferimento, reagì furiosamente. «No! Non posso andare lì!» quasi urlò durante il colloquio con le Risorse Umane. «Sono un manager senior! Non potete mandarmi in un posto del genere!»
Daniel lo fissò semplicemente, l’espressione fredda e inflessibile. «Hai due scelte, Jim. O accetti il trasferimento, o ti dimetti. Decidi tu.»
Jim serrò i pugni, la mascella contratta, ma non aveva alternative. Qualche settimana dopo, seppi che Jim e Monica si erano trasferiti in Ohio. La vita lì era tutt’altro che facile per loro. Niente più ristoranti esclusivi, niente più feste sfarzose, e nessuno su cui Jim potesse imporre il suo falso senso di potere. Era isolato, bloccato in un ufficio minuscolo con un solo sottoposto, dove il suo lavoro consisteva in noiose relazioni e riunioni insignificanti con clienti locali.
Monica non resse. Dopo appena quattro mesi, fece le valigie e tornò in città. «Mi avevi detto che avremmo avuto una vita migliore!» urlò prima di imbarcarsi su un volo di sola andata per lasciare l’Ohio. «Dicevi di essere un uomo di successo, ma non sei altro che un fallito!»
Jim cercò di mantenere il lavoro, ma non passò molto prima di capire che non c’era modo di tornare alla posizione precedente. Nessuno alla sede centrale si ricordava di lui, e a nessuno importavano le sue lamentele. Era stato completamente dimenticato.
Dopo un anno di un’esistenza vuota in Ohio, Jim presentò finalmente le dimissioni. Pensava che con la sua esperienza avrebbe trovato facilmente un lavoro migliore, ma il mondo reale non funzionava come immaginava. Nessuna azienda voleva assumere un ex manager riassegnato in circostanze sospette. Nessuna società rispettabile avrebbe preso qualcuno con un curriculum così discutibile. A poco a poco, i suoi risparmi si prosciugarono. Jim fu costretto a trasferirsi in un appartamento fatiscente in periferia, dove dovette affrontare la dura realtà: aveva perso tutto. L’unico lavoro che riuscì a trovare fu il turno di notte in un minimarket, dove stava dietro al bancone a guardare i clienti entrare e uscire, nessuno dei quali lo riconosceva né si curava di lui. Un uomo che un tempo si vantava di potere e status era ora solo un commesso silenzioso, a spazzare i pavimenti alle tre del mattino.
Diversamente da Jim, la mia vita non è mai stata migliore. Daniel ha continuato a essere il marito che sarò sempre grata di aver incontrato. Non solo è un uomo di successo, è anche gentile, protettivo e mi ama in un modo che Jim non ha mai fatto. Per quanto fosse impegnato, trovava sempre il tempo per le nostre serate mensili. A volte era una cena tranquilla in un ristorantino che adoriamo; altre volte, un weekend a Napa Valley, solo noi due, a sorseggiare vino e a chiacchierare senza fine.
So di aver fatto la scelta giusta quando ho voltato le spalle a Jim. Ci sono momenti nella vita in cui dobbiamo affrontare il passato, ma ciò che conta davvero non è guardare indietro con rimpianto. È andare avanti. Io sono andata avanti, e sono felice. Quanto a Jim, è rimasto indietro.