Le parla Jurij.

«– Qui parla Yurii. Sono il marito dell’amante di tuo marito.
– Pronto. È Hanna?

– Sì, la ascolto.

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– Qui parla Yurii. Sono il marito dell’amante di tuo marito.»

Anja si appoggiò al carrello della spesa e cercò di capire chi la stesse chiamando. Ma nella testa rimbombavano in eco le parole: «L’amante di mio marito. L’amante di mio marito».

– Sì, la ascolto, – ripeté meccanicamente Hanna.

– Non la stupisce? Lo sapeva già?

– Sì. Cioè no. Intendo dire che non capisco di cosa stia parlando. Anzi, capisco, ma non so cosa potrei dirle, — Anja si confuse definitivamente sia nelle parole sia nei pensieri. Questi si accavallavano lenti e goffi, incapaci di allinearsi in frasi.

– Le propongo di incontrarci e parlare di tutto, – l’interlocutore colpiva per la sua brevità e calma.

– Va bene, certo. Quando?

– Subito. Dov’è? Passo a prenderla.

– Oh, sono al supermercato. Mi resta solo da comprare il latte. Anche se no. A che serve? Non è importante. Esco subito. Sono all’incrocio tra Molodizhna e Nezalezhnosti.

Anja guardò i prodotti nel carrello. Le sembravano finti. Immangiabili. Di cartapesta. Avevano perfino perso i loro nomi.

La ragazza lasciò il carrello e si diresse automaticamente verso l’uscita. «L’amante di mio marito. L’amante di mio marito. Di mio marito? L’amante di Sasha? Forse ho capito male? – rifletteva Anja, – è impossibile».

Anja e Sasha erano sposati da soli 5 anni. Non avevano ancora avuto figli. Per ora non era andata. Ma questo non sembrava ancora un problema. Tutto il tempo libero la coppia lo trascorreva insieme. Andavano a sciare e d’estate avevano girato e nuotato in tutti gli stagni.

E poi Anja voleva un’auto. Sua. Una Nissan Juke. Rossa. Ne sognava. Sapeva che presto sarebbe accaduto un miracolo e il sogno si sarebbe avverato.

E adesso… un’amante. «Va bene, niente panico prima del tempo. Mi incontrerò con lui, ascolterò cosa ha da dirmi. Magari ha sbagliato persona».

Anja uscì, si calmò un po’ e iniziò ad aspettare lo sconosciuto. Arrivò in fretta.

– Lei è Anja? Io sono Yura. Salve ancora. Sieda.

– Yura, mi racconti pure che succede. Con lei non vado da nessuna parte, perché la vedo per la prima volta.

– Non mi piace parlare in macchina, – non vedo gli occhi dell’interlocutore. Va bene, andiamo. Qui c’è un buon caffè. Ci sediamo, prendiamo un caffè.

Al bar, Yura raccontò come aveva notato i cambiamenti in sua moglie Sofia. Come era andato a prenderla al lavoro senza avvisare e aveva visto che saliva in macchina con qualcuno e se ne andava. Come una volta era tornato a casa e aveva sentito la sua conversazione con Sasha. Come per caso, a un incrocio, aveva incontrato la stessa auto con gli stessi protagonisti. Stavolta ricordò la targa e, senza grandi sforzi, grazie alle sue conoscenze, “la controllò”. L’idillio tra Sofia e Sasha, a quanto pareva, continuava. E allora Yurii non resse più.

Anja non ricordava l’ultima volta che aveva pianto così. Senza vergognarsi di nessuno, tirando su col naso. Per l’offesa. Per il non sapere che fare dopo.

– Anja, se le lacrime servissero a qualcosa, sarei felice di piangere con lei, – Yura porse un fazzoletto alla ragazza.

Si sentì un po’ meglio. Davvero. A che serve piangere? Il fatto è fatto. Bisogna pensare a cosa fare dopo. Misero a punto un piano. Beccarli sul fatto.

– Ha un’auto?

– No. Solo la patente. A volte guido la macchina di Sasha. Una mia non l’ho ancora comprata.

– Allora faremo così. Le do una macchina per un po’. Quando tutto finirà, me la restituisce. Non abbia paura di guidare. È tutto assicurato.

– Oh grazie. Grazie di cuore, Yura, – Anja desiderava con tutta l’anima risolvere al più presto quella terribile situazione. E voleva anche che tutto si rivelasse un errore. E che il suo Sasha non c’entrasse niente.

Subito dopo il bar, i neo-detective andarono a prendere l’auto.

Yura e sua moglie vivevano fuori città, nella loro casa a due piani. Yura aveva costruito quei «palazzi», come li chiamava poi, per mettere al mondo molti bambini. Perché a tutti fosse spazioso e libero. Ma Sofia non voleva nemmeno sentir parlare di figli. «È ancora presto. Viviamo un po’ per noi. Per fare un figlio c’è tempo».

Yura aprì il cancello e Anja rimase di sasso. Si ritrasse nel sedile e cadde in uno stato di torpore. Per la seconda volta in quella giornata.

– Un amico l’ha lasciata. Mi ha chiesto di venderla. Lui e la moglie sono partiti per l’Olanda. In modo permanente. Ecco, non ho ancora avuto modo di occuparmene, — Yura fece un gesto verso il sogno di Anja.

Il calore di Yura, e seppur per un po’, il sogno realizzato così vividamente. Tutto questo attenuò un po’ il dolore di Anja.

Ben presto la coppietta fu smascherata.

Sasha non si scusò. Non disse che l’incontro con Sofia era stato casuale. Non si sentì in colpa. Al contrario, con tono glaciale dichiarò a Hanna:

– E cosa volevi? Prima chiarisci con te stessa. Sei una buona padrona di casa, certo, ma niente di più. Inoltre, io e Sofia abbiamo deciso da tempo di vivere insieme. Ho fatto tutto quello che potevo, ma non sono riuscito a cambiarti. Scusami.

Come una nuvola temporalesca si abbatté su Anja. Cosa? Padrona di casa? Cambiare me? Di cosa sta parlando?

Guardava Sasha e non credeva che fosse lui a dirle tutto questo. Che razza di offuscamento della mente? Eppure andava tutto bene.

Neanche Sofia era particolarmente turbata.

– Ma ricordati quando siamo stati l’ultima volta al cinema? Lavori sempre. Non ci sei mai. Sono stanca. Voglio vivere. Per me. Non per te. Il divorzio lo chiederò io stessa.

E così si separarono.

Anja piangeva e correva per l’appartamento. «Che meschinità! Che bassezza! Eppure niente faceva presagire un simile epilogo! Che succederà adesso? Come vivrò?». Decise di prendere un calmante, ma in casa non c’era niente di adatto. E poi, a che serve un calmante in una casa dove regnava l’amore? Amore???

«Vado in farmacia. E intanto faccio una passeggiata. È insopportabile stare in casa. Da sola».

Il telefono squillò. Anja, con le mani tremanti, tastò il cellulare in tasca. “Sasha!”. Ma era Yurii.

– Anja, come sta? Ho pensato… A lei dev’essere ancora più difficile che a me. Ho deciso di chiamarla.

– A me. Sì. È solo che… è andata così. Sto per andare in farmacia. E poi devo restituirle in qualche modo le chiavi. E lei come sta?

– Più o meno. Che è successo? Perché in farmacia? Posso aiutarla?

– No, si figuri. Non serve. È così. Comprare qualcosa. Per casa. È finito tutto.

– Anja, non vuole sedersi da qualche parte, parlare? Festeggiare, per così dire. Tutto ciò che accade – accade per il meglio.

Con Yurii Anja si sentiva tranquilla. In qualche modo protetta. Non voleva pensare a niente. Certo, non lo considerava come un uomo. Lei amava Sasha.

A Yurii dispiaceva molto quella ragazza. Forse non avrebbe dovuto coinvolgerla in quella storia? Poi lo avrebbe saputo da sola. In qualche modo avrebbero risolto. Con Sasha era doppiamente arrabbiato. Per sua moglie. E per Anja. Come si può lasciare una donna così pura e indifesa?

Anja accettò subito l’invito. Pur di non consumarsi tra quattro mura.

Sedevano nel caffè più carino. Bevevano caffè. Ricordavano la vita. Ognuno la propria. A volte Anja era pronta a piangere, ma di fronte sedeva il suo angelo custode. Una sensazione di calma e di semplice spalla maschile. E tratteneva le lacrime.

Yurko non prese le chiavi della macchina. “Guida pure, alla salute.”

Mese dopo mese. Caffè dopo caffè. Passeggiata dopo passeggiata. Né Anja né Yura si accorsero di come fossero passati sei mesi dalla loro prima, poco allegra, conoscenza. Né Anja né Yura si accorsero di quel dolore che accompagna il divorzio. Erano, per così dire, balsamo l’uno per l’anima dell’altro.

E così si sposarono.

Anja non avrebbe mai pensato che insieme al suo sogno a quattro ruote avrebbe trovato un uomo così. Un uomo con cui avrebbe vissuto una vita felice, piena di bambini, di serenità e d’amore.

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