È arrivata al colloquio di lavoro e, sulla scrivania del capo, ha visto la sua foto… Quando la verità è venuta a galla, la ragazza ha fatto qualcosa di cui nessuno avrebbe mai sospettato!

Al colloquio avvertì un’improvvisa fitta d’ansia quando lo sguardo le cadde, per caso, sulla fotografia poggiata sulla scrivania del suo interlocutore. Non era la solita immagine ben curata, scattata apposta per il curriculum, che conosceva dai precedenti colloqui. No: era un’istantanea rubata, come se fosse stata scattata alle sue spalle, a sua insaputa. Nella foto camminava per strada, parlava al telefono, socchiudeva gli occhi per il sole accecante. La memoria tornò subito a quel giorno: fretta, pressione del tempo, luce tagliente, lieve irritazione. E quel momento, come strappato dal passato, ora giaceva lì, sul tavolo, in tutta la sua inquietante verità.

Le si strinse il cuore, ma cercò di mantenere l’aria composta e sicura di sé. Il colloquio iniziò come sempre: domande, risposte, pause, scambio di cortesie. Il suo interlocutore — un uomo sui quarant’anni, elegante, dai modi misurati e dallo sguardo attento ma penetrante — le poneva domande standard, ascoltava con interesse, annuiva, prendeva appunti. Eppure ogni suo gesto, ogni movimento della testa, la riportava a quella foto. Non riusciva a distogliere lo sguardo, pur facendo l’impossibile per sembrare concentrata.

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— Le dispiace qualcosa? — la interruppe all’improvviso, notando la sua distrazione.

Lei esitò, cercando le parole giuste.
— Scusi… è… davvero io?

Lui sorrise, ma negli angoli degli occhi si intravide qualcosa di freddo, quasi animalesco.
— Sì, è lei. Se la riconosce, no?

— Ma… da dove viene questa fotografia?

Il suo sguardo si fece più profondo, come se attendesse quel preciso istante. Si reclinò leggermente sulla poltrona, raccogliendo le spalle.
— La osservo da tempo. Anche prima che uscisse questo annuncio di lavoro.

Un brivido le corse lungo la schiena.
— Quindi mi… conosce?

— In un certo senso. Colleziono volti: quelli interessanti, insoliti, vivi. Il suo mi ha colpito subito.

— Colleziona volti? — ripeté lei, sentendo la paura farsi strada dentro di sé.

— Esatto. Capisce cosa intendo? — si sporse in avanti. — Non un semplice bel viso, ma uno che parla da sé. Nei suoi occhi, nei suoi gesti — c’è una scintilla. Vitalità. Emozioni. Persone così mi affascinano.

Provò ad alzarsi, ma le gambe cedettero sotto di lei.
— Penso… che me ne vada. Grazie per il tempo.

Lui non le permise di andarsene. Con calma ma con decisione si alzò e le sbarrò la via.
— Aspetti. Non abbiamo ancora finito. Parliamo di cosa potrebbe succedere se questa fotografia finisse nelle mani del suo fidanzato?

Quella frase la colpì come un fulmine. Il respiro le si fermò. Solo allora si accorse che, sotto il vetro della scrivania, c’erano altre foto, ordinate con cura. In tutte era ritratta di nascosto, in momenti diversi: mentre entrava nel palazzo, comprava fiori, sedeva in un caffè, sorseggiava un caffè, leggeva un libro su una panchina. Ogni singolo attimo era stato immortalato con fredda, quasi predatoria precisione.

Fu allora che comprese. Non si trattava di un semplice ammiratore di “volti interessanti”. Quel uomo la stava spiando. Da molto tempo. Forse mesi. Forse anni. Sapeva di lei cose che neanche lei ricordava: dove andava, cosa indossava, con chi parlava. Aveva usato quelle informazioni per controllare la situazione, per farle capire chi, lì dentro, deteneva il potere.

Il mondo si capovolse. Realizzò che le ultime settimane — anzi, forse addirittura i mesi precedenti — non erano stati altro che le mosse di un gioco di cui lei ignorava le regole. Ogni passo, ogni incontro, ogni sguardo erano stati orchestrati. Un senso di impotenza e terrore la paralizzò, tanto da impedirle persino di gridare. Solitaria e indifesa, si trovò in trappola, vittima di un avversario esperto e pericoloso.

— Che… cosa vuole da me? — sussurrò, cercando di controllare la voce tremante.

Lui sorrise fra sé, tornando a sedersi.
— Voglio che tu stia con me. Solo questo. Non è troppo, visto che posso darti tutto? — Con un ampio gesto indicò la stanza, gli arredi costosi, la vista dalla finestra.
— Il tuo fidanzato è un bravo ragazzo, ma è uno qualunque. Non ha potere, non ha mezzi. Io posso aprirti le porte di un mondo intero: lusso, sicurezza, influenza. Diventeresti parte di qualcosa di più grande.

Ritrovò la forza di parlare, nonostante il terrore le serrasse lo stomaco.
— Lei è malato, — disse con fermezza, sebbene le gambe le tremassero. — Non sarò mai con lei. Mai.

Lo respinse, corse fuori dall’ufficio e precipitò giù per le scale, senza curarsi degli sguardi sbigottiti dei dipendenti. Lui non tentò di fermarla, la osservò soltanto allontanarsi con un sorriso sprezzante. Quando raggiunse la strada, non ricordava come ci fosse arrivata: le sembrava di correre sotto tiro, convinta che ogni passante potesse esserle ostile, ogni rumore una minaccia. Si mescolò alla folla sperando di sparire, ma la paura la tallonava, sussurrandole di un conto che presto sarebbe arrivato.

Entrata in casa, chiuse la porta a chiave con più giri del solito, come se questo potesse salvarla. Appoggiata al legno gelido, scivolò fino al pavimento, esausta. Il cuore le martellava nel petto, il respiro era affannoso. Era sola, indifesa di fronte al suo potere e alla sua influenza. Il telefono in mano era una serpe velenosa: avrebbe voluto chiamare il fidanzato, ma temeva di esporlo al pericolo.

Nella mente le frullavano pensieri terribili: che cosa volesse da lei? Perché proprio lei? E tutti quei regali, quelle attenzioni delle settimane scorse: non erano forse parte di un piano meticolosamente studiato? Si sentiva pedina in un gioco crudele, oggetto nelle mani di un burattinaio spietato.

La decisione giunse improvvisa, come un lampo a squarciare la notte. Non si sarebbe lasciata spezzare, non avrebbe più accettato di essere una vittima. Doveva lottare per la propria libertà, per il suo futuro. Raccolse le ultime forze, si rialzò.

Prese il telefono e compose il numero del fidanzato.
«Ho bisogno di aiuto», — sussurrò tremando. — «E non fidarti di nessun altro».

Seguì un silenzio che sembrò eterno, finché non udì la sua voce, carica di preoccupazione. In poche frasi, rapide e concitate, le espose la gravità della situazione, senza soffermarsi sui dettagli ma sottolineando la reale minaccia. Ogni parola le costava fatica, come se la stesse strappando all’abisso del terrore.

Lui ascoltò in silenzio, poi disse: «Arrivo tra quindici minuti. Non aprire a nessuno, capito?» Lei annuì, nonostante fosse al telefono. Sentì una piccola scintilla di speranza accendersi nel petto: lui sarebbe venuto. Non era più sola.

Mentre aspettava, si muoveva nervosamente per l’appartamento, preparando in fretta una borsa con documenti, qualche soldo, un cambio di vestiti. Ogni scricchiolio del pavimento le sembrava il segnale del suo arrivo. L’ansia la soffocava, le impediva di muoversi.

Un colpo secco alla porta la fece sussultare. Prese tempo al vetro, poi riconobbe i suoi occhi determinati ma angosciati. Aprì: lui la strinse in un abbraccio protettivo, come se volesse difenderla dal mondo intero. In quel momento capì che, finché fosse stato al suo fianco, avrebbe retto.

«Andiamo», mormorò lui, prendendola per mano. Insieme lasciarono l’appartamento, senza voltarsi indietro, pronti a entrare in una nuova vita, costellata di pericoli ma anche di speranza.

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