Mentre correva verso casa su libertà condizionale, si precipitò nel bus e, ancora ansimante, lasciò il posto a una donna anziana dal foulard. La vecchietta annuì riconoscente e si accomodò con cautela, sfiorando appena la mano della ragazza.
In quello stesso istante davanti ai suoi occhi esplose una galleria di visioni: una foresta sotto il manto della notte, macchie cremisi su palmi sconosciuti, un tremito di paura… Il cuore le balzò in petto come un uccello spaventato. Sentì pensieri altrui, dolori altrui — era come se avesse vissuto un’altra vita in una frazione di secondo. La vecchia alzò lo sguardo, colmo di significati nascosti, e pronunciò a bassa voce:
— Non è ancora finita. Lui ti aspetta.
Le porte del bus si spalancarono alla fermata successiva, e la donna sparì come se non fosse mai esistita. La ragazza rimase seduta, le dita delle mani strette gelidamente intorno ai guanti.
Sapeva che ora doveva andare. Ma non a casa.
Scendendo alla sua solita fermata, sentì le gambe muoversi da sole. Sotto la pioggia, tra vie grigie avvolte nella nebbia, camminava come ipnotizzata — verso il luogo che quella strana folgorazione nella mente le indicava.
Le immagini che erano emerse al tocco dell’anziana si facevano più nitide. Una casa abbandonata ai margini del bosco. Il cigolio delle assi. Un uomo dagli occhi scuri, quasi neri, la cui voce le faceva gelare il sangue.
Si fermò davanti a un cancello che conosceva bene. Qui era trascorsa la sua infanzia — se così si potevano chiamare quegli anni. La casa della zia, dove l’avevano mandata dopo il processo al padre. Il luogo in cui tutto era cominciato. E dove lui… era scomparso.
La mano si mosse da sola verso una leva arrugginita. Fece clic. La porta si aprì con facilità. All’interno regnava un’umidità familiare, ma ora mescolata a un’impressione di inquietudine.
— Sei arrivata — si udì una voce nell’oscurità.
Il cuore le si bloccò. Era lui. Suo padre. Non morto. Non dimenticato. Solo in attesa.
— La cartomante ha detto che saresti tornata — disse lui — Dobbiamo concludere ciò che è stato iniziato.
— Concludere? — la voce le tremò, ma la paura non la fermò. — Cosa intendi?
Dall’ombra emerse un uomo invecchiato, con occhi scavati, ma con la stessa pacata tensione in ogni movimento. Il volto segnato dagli anni, ma negli occhi brillava qualcosa di antico. Non semplice dolore. Una sete di qualcosa di più.
— Non sei soltanto mia figlia — mormorò — Sei la continuazione. L’erede di un potere e di una maledizione.
Fece un passo indietro, ma la porta si chiuse di colpo alle sue spalle.
— La cartomante… — sussurrò. — Lei mi ha toccata…
— Ti ha aperto la via — si avvicinò il padre. — Ora senti. Vedi. Ascolti chi c’era prima di noi. Siamo la stirpe degli antichi custodi. Il nostro sangue non è comune: ricorda.
Dalle pareti giunsero bisbigli, invocazioni. La paura la avvolse, ma insieme si destava in lei un potere sconosciuto.
— E se non lo volessi? — chiese, fissando il volto paterno.
Egli sorrise appena:
— Non importa ormai. Lei ti ha scelta. E tu hai già cominciato.
In quel momento un brivido le percorse la pelle, come mille formiche nelle vene. Il mondo tremò. Le pareti svanirono, rivelando un’altra dimensione — un luogo dove il tempo non ha senso.
La stanza sparì. Davanti a lei si distendeva una nebbia fitta, viva e densa come fumo. L’aria era greve, ogni respiro costava fatica. Si trovava su un sentiero stretto, fiancheggiato da alberi senza volto. In lontananza risuonava un campanello, un richiamo.
— Questo è il Passaggio — sentì nella sua testa. — Qui si decide chi sei. Accetti il tuo destino o ti dissolvi nell’ombra?
Le ombre si mossero. Senza volto, ma portatrici di brandelli di sofferenza: una di esse piangeva un bambino; un’altra gemeva sirene; un’altra ancora mostrava lei stessa, piccola, col volto tappato, rannicchiata in un angolo.
— Non voglio vederlo — sussurrò, coprendosi le orecchie. — Non posso distogliere lo sguardo.
Ma distogliere non poteva.
Dalla nebbia emerse la cartomante — la stessa donna. Ora gli occhi le ard erano di fiamma bianca, il volto ringiovanito, la voce riecheggiava nella realtà e nella mente:
— Non sei vittima, bensì passaggio. Attraverso di te i sogni diventeranno verità e la verità avrà voce. Non conta se sei pronta: conta chi lascerai andare e chi accoglierai.
— Cosa devo fare? — gridò ella, disperata.
La cartomante indicò il sentiero davanti a lei, dove il cielo si divideva in un varco verso un’altra realtà.
— Vai. Trova colei che ti ha preceduta. Portava il tuo nome. Morì affinché tu potessi vivere.
Fece un passo sul sentiero. Ad ogni passo l’aria si fece più densa; i sussurri più chiari, formando frasi:
«Riporta ciò che appartiene.»
«Tu sei eco. Trova la fonte.»
Davanti a lei sorse un cerchio di pietra — antico, coperto di muschio, ma vitale. Al centro, uno specchio non convenzionale: una superficie liquida, come acqua fumosa. In esso apparve una Bambina, simile a lei ma diversa: capelli lunghi, occhi antichi, sguardo vuoto e penetrante.
— Sei arrivata — disse la Bambina — Tardi, ma sei qui.
— Chi sei? — domandò.
— Sono la Prima. Il nome che avrei dovuto portare. Mi nascosero. Mi sacrificarono. Affinché tu vivessi al mio posto.
La nebbia si agitò e da essa emersero figure femminili di epoche diverse: antenate, custodi, testimoni.
— Cosa devo fare? — chiese lei.
— Perché non ti sei rifiutata — rispose la Prima — Hai permesso di toccarti. E così ti sei aperta.
La Bambina tese una mano attraverso lo specchio:
— Se prenderai la mia memoria, conoscerai ogni cosa. Ma non sarai più la stessa.
Le dita le tremavano, poi si distesero verso l’acqua.
Toccò la superficie.
Il mondo la travolse.
Lo specchio la accolse. Non la inghiottì, ma la accolse come atteso da tempo. Dentro non c’era buio, bensì una luce viva, simile al vento pre temporale nella foresta.
Cadde e si librò insieme, attraversando vite altrui — o proprie, in epoche diverse.
La donna dal vestito rozzo, che mormorava parole davanti a un fuoco.
La bambina nel rifugio di guerra, che nascondeva un talismano nella mano prima dell’eco dei colpi.
Una giovane strega nella San Pietroburgo del XIX secolo, intenta a scrivere nel diario:
«Vedo chi non è ancora nato.»
In ognuna di loro, era lei: un volto, tempi diversi; un dono, costi differenti.
Poi, improvvisamente, silenzio. Il flusso del tempo si arrestò.
Davanti a lei apparve la Madre della Stirpe: maestosa, con una corona di fiori di sorbo e voce come il fruscio dell’erba al vento:
— Hai accolto la memoria, ma non l’essenza. La forza della stirpe non è magia, bensì dovere. Ognuna scelse. Ora tocca a te.
— Non so cosa scegliere — confessò. — Ho paura.
— Allora sei pronta — rispose la Madre — Solo chi ha paura vede. E chi vede non serve l’oscurità.
Le porse un involto di corteccia, legato da un filo nero.
— Aprilo — disse — Allora comincerà.
— Cosa? — chiese.
— La verità. La tua, la loro, e forse la fine.
Lei prese l’involto. All’istante tutto svanì.
Il custode e la nebbia sparirono, lo spazio si schiarì come un velo sollevato dagli occhi. Era di nuovo nel cerchio di pietra, ma ora esso pulsava. Il simbolo sul suo palmo batteva al ritmo di un’energia antica.
Dal centro del cerchio emerse una pietra nera, screpolata e colma di luce interna. Si aprì come un libro, rivelando non immagini ma ricordi ereditati dalle donne della sua stirpe.
Vide la Prima: una guaritice del bosco, veggente bandita per la verità. Il suo nome inciso nella corteccia, dimenticato nelle canzoni. Fu lei a sigillare per prima il Varco.
La Seconda: occhi fiammeggianti, sopravvissuta all’Inquisizione. Tacque sotto torture, ma nel suo sguardo ardeva la tempesta. Prima dell’esecuzione sussurrò:
«Colei che verrà sarà più forte. Non brucerà.»
La Terza: San Pietroburgo, 1916. Mascherata da medico curava anime, non corpi. Custodiva un antico amuleto — il simbolo che ora aveva sul palmo. Alla rivoluzione scomparve, ma nel suo diario restò scritto:
«Il mondo vuole dimenticare. Noi no.»
E infine — lei. L’Ultima. Esiliata e tornata. Non portatrice di un potere, ma chiave.
La voce della Madre risuonò ancora, chiara:
— Sei stata scelta non per la forza, ma per sopportare la verità.
— Quale? — chiese, tremando.
— Il Varco si aprirà di nuovo. Qualcuno deve essere il primo: non vittima, bensì muro.
Non appena quelle parole svanirono, una fessura luminosa si aprì nel centro del cerchio, fredda e biancastra come la fiamma lunare. Da essa uscirono passi ritmati, innumerevoli, come di mille piedi invisibili. Apparvero anime dimenticate, rinchiuse, in attesa.
Lei inspirò a fondo, alzò la mano. Il simbolo sul suo palmo brillò, irradiando radici di luce che si diffusero nel terreno. Il Varco iniziò a richiudersi.
Le anime di cenere non urlavano più; la osservavano in silenzio.
La Madre sussurrò:
— Sono rimaste intrappolate tra i mondi. Tradite. Non libere. Ora cercano risposte.
Una figura si avvicinò: una donna in abiti stracciati, capelli di cenere, sguardo familiare.
— Ti ho attesa a lungo — disse — Respiravi mentre io bruciavo. Ma non ho rancore. Sono stanca.
— Chi sei? — domandò trattenendo le lacrime.
— Una di quelle dimenticate. Una tra tante. Ma ora siamo vicine.
Le porse la mano. Il tocco non era né freddo né doloroso, bensì familiare.
Tra la folla, una figura esitava, guardandosi intorno. Era lei: la zia che l’aveva cresciuta. “Buona” e premurosa, ma custode di un segreto.
— Tu?.. — mormorò — Tu sapevi?
— Sì — ammise la zia tra le lacrime — Sapevo che eri portatrice di potere, la chiave. Ero speranzosa che tu vivessi una vita normale, senza memoria.
— Ma ora ricordo. E anche tu risponderai a chi hai tradito.
Le anime di cenere circondarono la zia, ma la ragazza alzò la mano:
— No. Ha sbagliato, ma appartiene a questo cerchio. Lasciamo che sia la stirpe a giudicarla, non la vendetta.
La voce della Madre riprese:
— Così parla la Prima delle nuove. La sua parola apre un’era.
Il cielo sul Varco si ruppe definitivamente. Ne uscì un essere né umano né ombra, antico, con corna di luce e voce come silenzio prima della tempesta.
— Tu ci hai invocati — sibilò — Hai chiuso il cerchio. Ora la domanda è:
Sarai Custode o Conduttore del caos?
Lei rimase in silenzio, poi rispose con fermezza:
— Scelgo una terza via.
L’essere vacillò, l’aria si arrestò:
— Cosa intendi? — chiese.
— Non sarò Custode né Conduttore. Sarò Rinascita, Transizione. Conserverò il potere, ma ne muterò l’essenza.
Il mondo tremò. Le pietre si sollevarono. Il simbolo sulla sua mano si fece d’oro come l’alba, spandendo radici nel terreno. Il Varco si richiuse.
Le anime di cenere la osservarono in silenzio. La Madre sorrise:
— Eccola… — sussurrò.
L’essere di luce e tenebra chinò il capo in segno di rispetto:
— Allora sei la Prima del nuovo ramo.
E svanì.
Il cielo tornò sereno. Il simbolo sul suo palmo, ora dorato, non era più marchio ma sigillo di una via nuova.
Poi lei si risvegliò.
Era di nuovo sull’autobus. Le persone continuavano a guardare i loro schermi.
Di fronte a lei sedeva la cartomante, più giovane e serena.
— Benvenuta, bambina — disse — Nel tuo sangue.
Tre anni dopo.
Non era più colei che saltò sul bus. Viveva al confine tra città e bosco, in una casa che sembrava l’avesse trovata da sola. Respirava — le pareti, il pavimento, le erbe fuori alla finestra. In ogni crepa una storia, in ogni soffio di vento la voce della stirpe.
La chiamavano strega, guaritrice, strana. Ma chi capiva sapeva: lei era la Custode della Transizione.
Venivano da lei persone con mani tremanti, con voci di vecchi ricordi. Non curava, aiutava a ricordare.
Una bambina di sette anni bussò un giorno alla sua porta. Occhi grandi, un simbolo dorato sul palmo.
— Ho sognato una luce — disse — E tu eri lì. Mi hai detto: “Non avere paura”.
Lei sorrise, si inginocchiò e prese la mano della bambina.
E comprese: la stirpe continuava. Non attraverso il dolore. Non nelle tenebre. Ma nella libertà, nella memoria, nella scelta.
E in quella scelta c’era lei: colei che aveva rifiutato di essere solo erede, ridisegnando il proprio destino.