— Signore, almeno non ha sofferto! È stato un congedo così lieve. Dicono che chi è così fortunato fosse santo in vita. Peccato che fosse così giovane e non abbia visto crescere suo figlio, — cercava di consolarsi Nina Semenovna.
Le serviva in qualche modo elaborare il fatto che il suo unico erede, la sua creaturella, non ci fosse più. Ma sua nuora Anja la pensava diversamente. Solo lei sapeva com’era realmente il defunto Pavel. E perciò, senza alcun rimpianto, esclamò:
— Peccato che non abbia sofferto! Avrei voluto che vivesse. E soffrisse!!! — rispose con rabbia alla suocera. Nina Semenovna fece un passo indietro, sorpresa da quelle parole pronunciate da una nuora così riservata.
Nina Semenovna attribuì lo sfogo allo stress e subito, preoccupata, propose:
— Anja, lascia Serezha da me! Con me starà meglio! Per me lui è l’ultimo ricordo di mio figlio. Tu sei ancora giovane. Ti rifarai una vita!
— Serezha? — rimase sbalordita Anja — No. Non vivrà mai con voi. Sarò io a crescere mio figlio.
— Anja, ma cosa dici? — riprese Nina Semenovna — Ora ti è difficile. Non riesci ad accettare la perdita di tuo marito. Come farai a prenderti cura di Serezha?
Ma Anja rispose con fermezza:
— Ce la farò. Anzi, tra qualche giorno partirò. Ho deciso di trasferirmi in campagna. C’è la vecchia casa di mia nonna. Mi stabilirò lì e inizierò una vita nuova. E non vi darò mai, mai mio Serezha!
Anja temeva più di ogni altra cosa che qualcuno venisse a sapere la verità su suo figlio. Al bambino di cinque anni avevano diagnosticato una rara anomalia. Per il momento non si manifestava esteriormente, ma a volte lui cadeva in agguati di aggressività ingiustificata.
Gli specialisti consultati da Anja dicevano all’unisono:
— Ne soffrirete. Ora ce la fate perché lui è piccolo. Ma quando diventerà un uomo sarà più forte di voi. Persone come lui vengono collocate in istituti speciali. E sarebbe meglio abituarlo fin da piccolo. Si adatterebbe più facilmente.
Ma Anja non volle affidarlo a nessuno. Sperava che gli specialisti si fossero sbagliati, che Serezha fosse un bambino come gli altri, solo un po’ diverso.
Suo marito Pavel era un uomo severo. Credeva che un figlio fosse il simbolo della sua virilità e ricchezza, e mai avrebbe accettato un bambino malato. Ne era certa. Avrebbe accolto di buon grado il consiglio dei medici e Serezha sarebbe finito in un istituto. Per questo non aveva mai detto nulla né al marito né alla suocera.
Per loro Serezha era un bambino normale: un po’ chiuso, un po’ aggressivo, un po’ incomprensibile. Ma ogni bambino è unico, e nessuno aveva dato peso ai suoi gesti bizzarri.
Pavel non era soltanto severo: era crudele. Quante lacrime versò Anja mentre copriva lividi e graffi con il fondotinta, lo sapeva solo il Signore. Eppure non poteva lasciare il marito.
Lui la minacciava di trovarla anche all’estremità del mondo, e allora non avrebbero avuto scampo né lei né il piccolo. Le rimproverava addirittura di voler rompere il loro rapporto, convinto che Anja sarebbe fuggita con un altro uomo, dal quale aveva forse avuto Serezha. Quel pensiero feriva il suo orgoglio e alimentava la sua gelosia.
La sua ira divorava tutto. Anja doveva sopportare un vero inferno. Poi Pasha aveva cominciato a bere, e la vita era diventata insopportabile.
La suocera accusava Anja della dipendenza del figlio: “Le buone mogli i mariti non li tradiscono e non gli permettono eccessi”. Adesso la donna sopportava insulti anche da parte di sua madre.
Un giorno, però, tutto finì. Pavel fu ritrovato steso sul pavimento della cucina, accanto alla bottiglia mezza vuota. Così finiscono milioni di alcolisti. Lui non fu un’eccezione.
All’inizio Anja si rammaricò davvero che la morte di suo marito fosse stata così semplice; avrebbe voluto che restasse invalido o in fin di vita, soffrendo come lei. Ma, riflettendo, capì che era meglio così: ormai nulla la tratteneva, e poteva partire senza timore di rivelare il segreto di Serezha.
Così fece. Un mese dopo radunò poche cose e si trasferì in un remoto villaggio di campagna. Sua madre non appoggiò la decisione, ignorando l’anomalia del nipote, e disse:
— Anja! Cosa pensi di fare laggiù da sola con il bambino? Qui possiamo aiutarti. Là, in quel posto sperduto, ci sono solo zanzare e orsi! Non osare andare! Pensa al bambino!
— È proprio per lui che vado, — rispose Anja con fermezza. Sua madre scosse la testa, non comprendendo le vere ragioni della partenza.
E così Anja e Serezha si trovarono lontano: in un villaggio sperduto nella taiga. Anja vi era stata da bambina, in visita dalla nonna. Insieme si divertivano a fare torte, a scaldare la sauna, a mungere la mucca Zorka e a raccogliere bacche nel bosco. Era stato un altro mondo, prima della nascita di Serezha.
Quella volta però le si presentò una casa vuota e un cortile invaso dalle erbacce. Serezha si lamentava, non gli piaceva il posto. Anja cercava di calmarlo:
— Tesoro, vedrai com’è bello qui. Prima sistemiamo tutto, tagliamo l’erba. Io so fare di tutto, me l’ha insegnato la nonna. Peccato non averla ascoltata. Mi aveva avvertita: in campagna avrei trovato pace.
Il piccolo alla fine si calmò, attirato dai pastelli. Anja gli diede un album da disegno e si mise a ripulire la casa.
In due giorni l’aveva sistemata, ma cominciava a rendersi conto che restare lì non era più la scelta ideale. Pensò a quanto sarebbe stato difficile per una cittadina fare la legna, portare l’acqua, cucinare sul fornello a legna. Ricordò i consigli della nonna:
— Stanca? Accendi la saunina! Cura stanchezza e anima.
E decise di provare: in breve il calore la rinvigorì. Con l’umore sollevato, decise di andare al negozio locale a comprare qualcosa per il tè, torte o biscotti.
Presero mano nella mano e si avviarono. Serezha di nuovo faceva capricci, ma la madre lo calminava:
— Serezha, compraremo dolci e biscotti, poi torniamo e disegni di nuovo!
La commessa studiò i nuovi avventori e, socievole, chiese:
— Restate a lungo? Abitate nella casa di nonna Njura, vero?
— Sì, io sono Anja, sua nipote. Ci venivo da bambina, — rispose lei.
— No, mi dispiace, non ti ricordo. Io sono venuta qui per matrimonio, da un villaggio vicino. Con un bimbo sarà dura. Niente aiuto?
— No, sono sola con mio figlio. E va bene così, — dichiarò Anja, nascosta la verità sull’anomalia di Serezha.
— Ieri sono arrivate caramelle fresche, biscotti e praline! Vuoi anche formaggi e salumi?
— Sì, prendo un po’ di tutto. E per le zanzare? Avete qualcosa di efficace?
— Qualcosa c’è, ma contro le zanzare della taiga non serve nulla! Qui usiamo…
— Cosa dovrei fare? A me vanno bene, ma mio figlio piange. Lo pungono!
— Per i bambini di città è peggio… Portate rami di abete o ginepro, bruciateli in casa. Il fumo allontana le zanzare!
— Grazie, oggi stesso!
— Però porta con te il piccolo, gli farà bene esplorare il bosco!
— Certo, — rispose Anja e uscì in fretta, già rivestita per la passeggiata.
Con in mano un sacchetto per funghi, si addentrò nel bosco. L’aria profumava di pini e uccellini cantavano, ma le zanzare erano implacabili. Raccolse qualche ramo di ginepro e tornò in fretta. Ma, al suo rientro, Serezha non c’era più. In preda al panico lasciò cadere il fascio di rami e cominciò a cercarlo.
All’improvviso un forte scricchiolio. — È un orso! — pensò, ma si voltò. Davanti a lei c’era un uomo giovane e robusto che teneva per mano suo figlio, che lo seguiva fiducioso, senza piangere né aggredire.
— Non sarà tuo? — chiese l’uomo ad Anja terrorizzata.
Serezha, vedendo la madre, corse verso lei e si strinse alle sue gambe, sorridendo.
— Non lasciare un bimbo solo nella taiga! O volevi liberartene? — disse l’uomo.
— Cosa…? — balbettò Anja — Sono stata via solo un attimo per raccogliere del ginepro. Lui giocava con una farfalla!
— Mi chiamo Bogdan, sono il guardiaboschi del posto. Ho sentito di una ragazza di città venuta qui a restare con un bambino.
— Sì, sono io, — rispose Anja, inginocchiandosi. La vita con Pavel l’aveva resa timorosa degli uomini.
— Non ci sono orsi da queste parti, stanno più in profondità. E tuo figlio… è muto? Di solito i bimbi fanno mille domande, il tuo no.
— No, parla, è solo un po’ timido, — rispose in fretta Anja. Capì che da nessuno sarebbe riuscita a nascondere il segreto.
Bogdan, notando la sua agitazione, si fece più cauto e offrì il suo aiuto.
— Vuoi che ti dia una mia pomata anti-zanzare? L’ho fatta io: nessuna mosca si avvicina!
Quella sera stessa Bogdan portò la pomata e alcune candele aromatiche: le zanzare lasciarono il campo. Anja riuscì a finire di sistemare il cortile e già sognava un orticello primaverile.
Col tempo Anja e Serezha si ambientarono e conobbero tutti i paesani. Anche Serezha si tranquillizzò: disegnava o inseguiva farfalle, e non dava più capricci.
Bogdan e Anja divennero amici; lui passeggiava con lei e giocava con il bimbo dopo la nanna. Anja tuttavia limitava le occasioni in cui Bogdan stava solo con Serezha, temendo che scoprisse l’anomalia.
Una mattina, mentre Anja preparava il pranzo preferito di Serezha, lui scomparve di nuovo. Tornò a cercarlo in ogni angolo: in giardino, nella sauna, nel fienile, poi correndo in paese tra i vicini. Nessuno lo aveva visto.
Disperata, tornò al villaggio piangendo. Le si avvicinò Bogdan:
— Che succede, Anja? Perché piangi?
— Serezha! Mio Serezha è sparito di nuovo!
— Tranquilla, non può andare lontano. Forse è uscito dal cancello per unirsi ai bambini del villaggio.
— Non capisci! — singhiozzò Anja — Tu non capisci!
— Spiegami, dai! — insisté Bogdan.
— Mio figlio è speciale. Non è come gli altri! Non può restare solo! Non deve stare con la gente!
— Racconta!
— È nato con una mutazione rara e lo avrebbero dovuto rinchiudere in un istituto. Può essere aggressivo e far del male. Non l’ho detto a nessuno, né a mia madre né a mio marito. L’ho portato via per nasconderlo, e ora… non l’ho protetto!
— Calmati, lo troveremo insieme! — lo rassicurò Bogdan.
Poco dopo lo trovarono sulla riva del fiume, intento a costruire un rifugio con altri bambini. Anja si stava precipitand o verso di lui, ma Bogdan la fermò:
— Osserva.
E fu in quelle ore che Anja capì: Serezha parlava, rideva, giocava come gli altri. Bogdan le chiese:
— Sei sicura della diagnosi dei medici? Dovrebbe essere aggressivo, ma non lo è mai stato con me né con loro.
Serezha allora corse verso Anja e disse:
— Sei arrivata tardi, mamma, ti stavo cercando!
— Sono stato in bosco, ma mi sei mancato pure tu! — rispose lei.
Da allora Bogdan fece sempre più spesso visita ad Anja e a suo figlio. Scoprì la violenza di Pavel, il costante terrore provato da Anja e da Serezha. Capì che la vera ferita era stata la crudeltà del padre, non alcuna malattia.
— Perché non sei andata via prima? — le chiese Bogdan — Tu e tuo figlio avete subito un danno enorme.
Anja era d’accordo: era tempo di cercare cure vere. Insieme andarono dagli specialisti in città, che confermarono: Serezha era un bambino normale, traumatizzato dagli abusi subiti. Solo amore e affetto lo avrebbero guarito.
Bogdan divenne per lui il modello del vero uomo, gentile e protettivo. E mentre Pavel non seppe mai la verità, Serezha crebbe sereno, diventando un uomo degno e amato.