Avendo perso l’aereo, Ira tornò a casa ma non riuscì ad aprire la porta con la sua chiave. Scoprì che qualcuno si era rinchiuso all’interno…

Ira, esausta, si appoggiò con la schiena alla porta, cercando di fermare il tremito delle mani. La chiave non voleva sbloccarsi nella serratura. Dopo una giornata infernale, con il volo perso e il bagaglio smarrito, quello era stato il colpo di grazia. Provò di nuovo a girare la chiave, ma invano. C’era qualcosa che non andava.

All’improvviso, dall’interno si udì un fruscio appena percettibile. A Ira mancò il respiro. Qualcuno era nel suo appartamento.

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“Chi c’è là?” chiese con voce tremante, sapendo benissimo di non poter contare su una risposta.

“Ira? Sei tu?” risuonò una voce dolorosamente familiare. Sergio. Il suo ex marito.

“Cosa ci fai qui?” la sua voce tradiva insieme paura e rabbia. “Apri subito la porta!”

Seguirono secondi di silenzio denso. “Scusa, non posso. Dobbiamo parlare e tu non mi dai questa possibilità da sei mesi.”

Ira si appoggiò con la schiena al muro, sentendo le gambe vacillare. Negli ultimi sei mesi aveva evitato ogni contatto con Sergio dopo il loro difficile divorzio. Aveva cambiato numero di telefono, lo aveva bloccato sui social, chiesto agli amici di non riferirgli nulla di sé.

“Vattene, Sergio. Quello che stai facendo è illegale. Chiamo la polizia.”

“Aspetta!” nella sua voce comparvero toni supplicanti. “Ho trovato il tuo diario. Quel diario che scrivevi nel primo anno della nostra vita insieme. L’ho… letto ieri. E ho capito quanto ho rovinato tutto.”

Ira si bloccò. Quello lo credeva ormai perduto. Vi erano annotati tutti i loro primi momenti insieme, i sogni sul futuro, i progetti che avevano costruito fianco a fianco.

“Sai cosa mi ha colpito di più?” continuò Sergio. “Il modo in cui descrivevi le nostre piccole tradizioni. Le colazioni della domenica, le passeggiate serali al parco, le tue rose del venerdì… Ho smesso di fare tutto questo. Mi sono immerso nel lavoro, nelle mie ambizioni. E tu… tu volevi solo che io fossi lì.”

Ira sentì un groppo in gola. Aveva passato mesi a cercare di dimenticare il loro passato comune, convinta che il divorzio fosse inevitabile. Ma adesso, di fronte all’innocente sincerità della sua voce, riaffiorarono quei sentimenti che l’avevano spinta ad amarlo.

“Non ti sto chiedendo di tornare,” disse lui a bassa voce. “Voglio solo chiederti scusa. Davvero. E dirti che finalmente ho capito ciò che ho perso. Non l’appartamento, non la convivenza, ma quel legame speciale che ho distrutto con la mia superficialità.”

Si udì il rumore di un lucchetto che si sbloccava. Sergio apparve sulla soglia, pallido, gli occhi arrossati dalla mancanza di sonno, con un vecchio bloc-notes dalla copertina blu in mano.

“So che non era giusto irrompere così nella tua vita. Ma dovevo farti arrivare il mio messaggio, anche solo una volta.”

Le porse il diario e, senza aggiungere altro, si diresse verso le scale. Ira lo guardò andar via, stringendo il quaderno al petto: la storia di un amore che avrebbe potuto avere un altro epilogo. Qualcosa dentro di lei si spezzò.

“Sergio, aspetta!” corse dietro di lui lungo la tromba delle scale, saltando gradini. Si fermò a un ripiano e non si voltò.

“Perché proprio adesso?” ansimò Ira. “Perché non hai detto tutto questo prima?”

Lui si girò lentamente. Alla luce fioca del pianerottolo il suo volto appariva segnato e stanco.

“Perché ero troppo orgoglioso. Troppo testardo,” ammise accarezzandosi i capelli. “Solo quando ho letto le tue parole, piene di… speranza, ho capito che ero stato un idiota.”

Ira abbassò lo sguardo sul diario. Tanti ricordi, tante speranze non mantenute…

“Sai,” mormorò, “in questo diario c’è una frase che scrissi dopo la nostra prima grande litigata. ‘L’amore non è solo festa, è anche lavoro. Ogni giorno, ogni ora…’”

“…e se sei disposto a lavorarci, ti ripagherà a mille,” la concluse Sergio. “Me la sono appuntata. E solo ora l’ho capita davvero.”

Rimasero sul pianerottolo, separati da qualche scalino e sei mesi di silenzio. Nell’aria aleggiava qualcosa di indefinibile: il fantasma della loro complicità o forse il seme di qualcosa di nuovo.

“Vuoi prendere un tè con me?” chiese all’improvviso Ira. “Ho ancora il tuo tè verde al gelsomino preferito…”

Sergio alzò gli occhi e in essi comparve quel calore che lei un tempo aveva amato.

“Con piacere,” rispose. “Ma ricominciamo da capo. Ciao, io sono Sergio.”

Ira sorrise senza volerlo. “Ciao, Sergio. Io sono Ira. E c’è un diario molto interessante di cui vorrei parlare…”

“Ma sei impazzita?” esclamò Marina, la sorella maggiore di Ira, picchiettando nervosa il cucchiaino su una tazza di caffè ormai freddo. “Ha scassinato la tua porta! È legale tutto ciò?”

Erano sedute nella loro caffetteria preferita, dove di solito condividevano le grandi novità. Marina non riusciva a credere a ciò che stava sentendo.

“Capisco come suoni,” disse Ira, giocando con l’anello al dito, gesto che faceva sempre quando era agitata. “Ma avresti dovuto vedere i suoi occhi, Marina. È cambiato davvero.”

“Sì, cambiato… da normale workaholic a ladro,” sbottò Marina. “Hai dimenticato le notti che passavi da me a piangere? Le feste di famiglia saltate? E come…”

“No, non ho dimenticato,” la interruppe dolcemente Ira. “Ma sai cosa ho capito? Che anche io ho sbagliato. Ho taciuto, ho accumulato rancore invece di parlare apertamente.”

Marina si appoggiò allo schienale, fissando la sorella. Era la prima volta in sei mesi che scorgeva in lei quella scintilla che sperava fosse tornata.

“E ora? Ti porta le rose promesse?” chiese con tono scettico.

“No,” rispose Ira sorridendo. “Adesso andiamo insieme al mercato dei fiori per il balcone. Dice che le rose sono troppo banali.”

Marina sospirò e posò la mano sulla mano di Ira.

“Ascolta, mi preoccupo solo per te. Non voglio rivederti infelice.”

“Lo so,” Ira strinse la mano di Marina. “Ma siamo cresciuti entrambi. Abbiamo imparato a parlarci. E… sai, per la prima volta non ho paura di essere onesta con lui.”

“Va bene,” Marina tirò fuori il telefono. “Allora digli che questa domenica lo aspetto a pranzo da me. E che non provi nemmeno a dirmi di avere un impegno importante!”

Ira scoppiò a ridere sentendosi alleggerita: forse a volte vale la pena dare una seconda possibilità, non solo all’altro, ma anche a se stessi.

La domenica, nella casa di Marina, l’aria era pervasa dai profumi di famiglia: lei stava preparando il borsch della mamma, un classico immancabile. Sergio stava sulla soglia della cucina, con in mano una scatola di dolci dalla pasticceria preferita.

“Posso almeno tagliare il pane?” chiese, osservando Marina che impartiva ordini ai fornelli.

“Neanche per sogno,” rispose lei, ma ormai non c’era più rabbia nella voce, soltanto un affettuoso screzio. “Non ho dimenticato come tagliasti i pomodori l’ultima volta.”

“Era cinque anni fa!” protestò Sergio. “E tra l’altro il taglio a cubetti è moderno.”

“Sì, modernissimo… se i cubetti non fossero grandi come pugni,” ribatté Marina, ma sorridendo ormai.

Ira guardava i loro battibecchi, sentendo un calore diffondersi nel petto. Sergio, che un tempo guardava sempre l’orologio durante le riunioni di famiglia, adesso sembrava non avere fretta di andare da nessuna parte.

“A proposito,” disse Marina dividendo un mestolo di borsch, “ho sentito che hai lasciato la tua azienda?”

“Sì,” rispose lui sedendosi sul bordo di una sedia. “Ho aperto una piccola società di consulenza. Guadagno meno, ma ho più tempo per vivere.”

“Per vivere o per scassinare appartamenti?” scherzò Marina.

“Marin!” intervenne Ira ridendo, e Sergio scoppiò a ridere con lei.

“Bisogna a volte fare qualcosa di folle per apprezzare le cose semplici,” disse guardando Ira. “Per esempio scoprire che una carriera di successo non serve a niente se torni in un appartamento vuoto.”

Marina alzò gli occhi al cielo, ma Ira notò la tenerezza nei suoi sguardi.

“Ok, basta ciance. Sergio, però taglia il pane. Solo, non farlo come quella volta!”

Durante il pranzo parlarono di tutto: dei nuovi progetti, dei vecchi errori, della paura di ricominciare. E minuto dopo minuto diventava sempre più chiaro che a volte bisogna perdere qualcosa di prezioso per imparare davvero ad apprezzarlo.

Tre mesi dopo. Ira era sul nuovo balcone, mentre annaffiava le petunie e le gerani ormai rigogliose. Avevano scelto un appartamento in un altro quartiere, per ricominciare davvero da zero, senza ombre del passato.

“Indovina,” disse Sergio portandole due tazze di caffè del mattino, “il mio primo cliente ha firmato il contratto. Ha detto che gli è piaciuto il fatto che nel mio ufficio non ci siano quelle manie di grande azienda.”

Ira sorrise accogliendo la tazza. Il suo “ufficio” era una piccola stanza luminosa in un coworking, con le foto dei loro viaggi appese al muro e un ficus in un angolo. Null’altro a che vedere con il suo vecchio ufficio in vetro e acciaio.

“Sai qual è la cosa più sorprendente?” le chiese, girandola verso di sé. “Non tengo più un diario.”

“Perché?” sollevò un sopracciglio lui, sorpreso.

“Perché prima ci annotavo tutto ciò che non riuscivo a dirti a voce. E adesso…” prese un sorso di caffè, “…adesso ci basta parlare.”

Sergio appoggiò la tazza sul parapetto e la abbracciò da dietro, contemplando la città che si svegliava.

“Ti ricordi come ci siamo conosciuti?” chiese all’improvviso.

“Proprio in quella caffetteria dove poi abbiamo festeggiato il divorzio,” ridacchiò Ira per l’ironia.

“Sono passato di lì qualche giorno fa,” disse lui voltandola verso di sé, “e ho capito una cosa: non abbiamo distrutto il nostro amore. Non sapevamo solo come conservarlo. Ma adesso…”

“Adesso impariamo,” concluse lei al suo posto.

In quel momento squillò il telefono. Sul display comparve il nome di Marina.

“Chiamerà per ricordarci della cena,” scrollò la testa Ira. “Ormai fa questi inviti ogni settimana.”

“Mi sa che vuole solo assicurarsi che non scappi di nuovo,” sorrise Sergio.

“Non scapperò,” rispose con sicurezza Ira. “La chiave del tuo cuore la custodisco io.”

Risero insieme, e il loro riso, insieme al profumo del caffè e dei fiori, si dispersero nell’aria del mattino. Da qualche parte, nel vecchio appartamento, quel diario blu giaceva ancora, ma le sue pagine non contenevano più parole non dette. Adesso tutte le parole trovavano la via del cuore senza aiuto di carta e inchiostro.

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