— **«Hai preso lo stipendio? Dammelo, vado a chiudere il prestito di mamma»**, dichiarò mio marito. Dopo quelle parole, gli feci la valigia.
Lena e Maksim si erano sposati sette anni prima, quando lei era rimasta incinta. Lei aveva solo 20 anni, lui 25. Erano entrambi giovani, inesperti, ma pieni di speranza per un futuro felice. La gravidanza fu per loro una completa sorpresa, ma decisero di tenere il bambino e creare una famiglia.
Presto nacque la loro splendida bambina, Anja. Occhi azzurri, soffici capelli biondi – un vero angioletto. Maksim la adorava, non si staccava da lei per ore: cambiava pannolini, cantava ninne nanne. Lena li guardava e si scioglieva di tenerezza – ecco, quello era il suo piccolo paradiso familiare.
Ma la realtà mise ben presto i suoi correttivi. La giovane famiglia si scontrò con difficoltà finanziarie. Maksim lavorava in fabbrica per una miseria, a malapena riuscivano ad arrivare a fine mese. Lena stava a casa con Anja, e parlare di un lavoretto extra era impossibile – non c’era nessuno a cui lasciare la piccola.
Nonostante ciò, non si abbattevano. Malgrado i problemi quotidiani, nel loro piccolo appartamento regnavano amore e comprensione. La sera Maksim tornava stanco morto, ma trovava comunque le forze per giocare con la figlia e aiutare la moglie in casa. Lena, dal canto suo, cercava di compiacerlo con cene buone e abbracci calorosi. Erano giovani, innamorati e credevano di poter superare qualsiasi prova.
Poi però arrivò la crisi. La fabbrica cominciò a “traballare”, iniziarono licenziamenti di massa. Lena fu mandata via tra i primi, anche se pregava di poter tornare al lavoro prima. Maksim resisteva con tutte le sue forze, lavorando per tre, ma alla fine “lo salutarono” anche lui. I due giovani rimasero senza mezzi di sussistenza.
Bisognava trovare in fretta una nuova fonte di reddito. Arrangiandosi con lavoretti occasionali, Maksim sprofondava sempre più nella depressione. Si sentiva un fallito, incapace di mantenere la famiglia. Dall’impotenza e dalla disperazione cominciò a bere, a passare il tempo con gli amici nei garage. Tornava a casa dopo mezzanotte, nero come la pece, e o si buttava a letto in silenzio, o iniziava a litigare per un nonnulla.
A farne le spese era soprattutto Lena. Di giorno correva in giro in cerca di lavoro, e la sera ascoltava i rimproveri ubriachi del marito mescolati al pianto della bambina. Per la mancanza di sonno, di cibo e per lo stress, la giovane mamma dimagrì, si spense, perse la sua bellezza di un tempo. Ma continuava a tirare la carretta a denti stretti – per Anja, il loro piccolo angelo.
La suocera non perdeva occasione per godere delle disgrazie della nuora. Raisa Pavlovna non aveva mai sopportato Lena, la considerava una pessima scelta per suo figlio.
«L’ha incastrato, e ora non sa né cucinare né lavare. A Maksim ci voleva una moglie più affidabile, più seria, e questa invece è solo una sciocca di campagna», sibilava al telefono, lamentandosi con le amiche.
In quei momenti Maksim ribatteva debolmente, dicendo che non bisognava offendere la moglie, che si era sposato da solo e che se la sarebbe cavata da solo. Ma alle parole non seguivano i fatti. A volte dubitava lui stesso della propria scelta, pensava: forse aveva sbagliato a sposarsi così in fretta? Forse sarebbe stato meglio accompagnare Lena ad abortire Anja? Ma ormai non si poteva più tornare indietro.
I soldi non bastavano mai, e la suocera aggiungeva benzina sul fuoco – a ogni occasione chiedeva al figlio qualcosa “in prestito”: per le medicine, per le bollette. Maksim non riusciva a dirle di no – era l’unica persona a lui davvero cara. Le dava gli ultimi soldi, a volte addirittura li prendeva in prestito dagli amici pur di non far dispiacere la mamma. E Lena disperata si chiedeva dove trovare denaro per pannolini e latte in polvere. Il marito la rimproverava con tono di disapprovazione:
«Tu mica la mantieni, mia madre, quindi taci e non lamentarti».
Per la fame e la totale mancanza di denaro, la famiglia a malapena riusciva a sopravvivere. Ma in qualche modo, quasi per miracolo, restavano ancora a galla. Lena trovava la forza di sorridere alla figlia e di scaldarla con il proprio amore. Di tanto in tanto Maksim si svegliava sobrio e restava a lungo seduto accanto al lettino di Anja, sussurrando piano:
«Perdonami, stellina mia. Per il padre sciocco che ti è capitato. Ma tu non ammalarti, cresci grande. Io farò del mio meglio, mi spezzerò in quattro per te».
E loro combattevano, ognuno a modo suo. Per quella piccola scintilla di vita, prova della loro grande amore. Raisa Pavlovna non faceva che sogghignare, guardandoli affannarsi:
«Ah, figlio mio, ti sei cacciato in un bel guaio fino al collo. E adesso tocca a me soffrire con voi, fare altri debiti. Se fossi stata sola, sarei andata in vacanza nelle località di mare come le mie vicine…».
Come se non bastassero i problemi economici, la suocera aveva fatto debiti comprando una montagna di cose inutili a credito: pentole super costose, servizi di porcellana, gioielli pieni di brillanti e persino una pelliccia. Tutto quel “ben di Dio” lo portò a casa sua, mostrandolo con orgoglio alle amiche e a chiunque volesse vedere:
«Guardate come mi vuole bene il mio figliolo. Non mi nega niente, tutto per la mamma».
Maksim non sapeva dove nascondersi dalla vergogna. Capiva benissimo che la madre viveva al di sopra delle proprie possibilità, si indebitava sempre di più. Avrebbe dovuto metterla in riga, spiegarle che non era più tempo di lussi. Ma non gli si muoveva la lingua per rivolgere una parola dura alla propria madre. Dopotutto era stata lei a crescerlo, a farlo diventare un uomo. Così taceva, sospirava profondamente e corrugava la fronte.
E Raisa Pavlovna non si fermava. A ogni incontro ricominciava la solita cantilena:
«Maksim, figliolo, aiutami. Sono piena di debiti, non ho più da vivere. Non potresti portare un po’ di soldi? I recuperatori non mi lasciano in pace, chiamano anche di notte, minacciano…».
E Maksim non riusciva a negarle niente – trascinava da lei persino le ultime briciole, togliendole alla sua famiglia.
Quando Lena scoprì per caso dei crediti della suocera, sentì la terra mancarle sotto i piedi. Mezzo milione! Con quei soldi si sarebbero potuti comprare chissà quanti pannolini e quanto cibo per bambini. E a quella “vecchia cavalla” non bastava mai, viveva da regina alle loro spalle. E il marito, che doveva essere il suo difensore, coccolava la madre, mentre la moglie e la figlia potevano anche morire di fame.
Provò a parlarne con Maksim, ma lui la liquidò con un gesto:
«Non impicciarti in ciò che non ti riguarda. È mia madre, faccio quello che voglio».
Lena capì che era inutile appellarsi alla coscienza di quel mammone. Non sarebbe mai cresciuto davvero, avrebbe continuato a correre sotto le gonne della mamma fino alla vecchiaia.
Così andò avanti – Maksim portava i soldi alla madre, e lui stesso sopravviveva a malapena con il pane secco. Lena cercava di far quadrare i conti in qualche modo, ma con un bambino affamato tra le braccia era quasi impossibile. Quando per morosità venivano staccate luce e riscaldamento, lei e Anja andavano a stare per qualche giorno da un’amica. A Maksim sembrava non importare – passava il tempo ora dalla madre, ora dagli amici.
Lena non trovava pace, divorata dalla disperazione. Come andare avanti? In cosa si era trasformata la sua famiglia, il suo sogno di una vita tranquilla e serena? Perché la sua bambina doveva soffrire per l’assenza di scrupoli degli adulti? E soprattutto – sarebbe mai riuscita a perdonare il marito per quell’incubo?
Non aveva risposta. Le restava solo di stringere i denti e trascinare la sua croce insopportabile. Giorno dopo giorno, passo dopo passo, con le ultime forze rimaste. Per Anja – il piccolo angelo, innocente dei peccati dei genitori. E per sé stessa – per non spezzarsi, per non impazzire dal dolore e dalla mancanza di vie d’uscita.
L’ultima goccia fu il ritorno di Lena al lavoro. A fatica riuscì a iscrivere Anja all’asilo, e lei trovò un posto come cassiera in un supermercato aperto 24 ore su 24. Turni massacranti di 12 ore, ma almeno qualche soldo entrava. Meglio spaccarsi la schiena di notte che andare a elemosinare dal marito traditore.
Il primo stipendio Lena lo ricevette dopo un mese. Non era molto, ma erano soldi suoi, guadagnati onestamente. Li portò a casa, li contò – bastava per pannolini, pappe, l’essenziale. Forse sarebbe riuscita persino a comprare un giubbottino nuovo per Anja, che ormai aveva i vestiti tutti logori. Mise da parte il denaro in una scatola di latta, sullo scaffale più alto dell’armadio, per non mescolarlo con il “bilancio comune”.
La mattina dopo arrivò Maksim – sobrio e stranamente molto deciso. Appena entrato dalla porta, dichiarò:
— Hai preso lo stipendio? Dammelo, vado a chiudere il prestito di mamma.
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