Il giorno seguente, verso l’ora di pranzo, Galina stava ai fornelli preparando una zuppa leggera per sé. Aveva deciso di trascorrere la giornata in tranquillità, senza troppe conversazioni, ma il campanello alla porta ruppe quel silenzio.
All’inizio pensò che fosse la vicina venuta a chiedere del sale o magari un corriere, ma, guardando dallo spioncino, vide un volto familiare. Andrej.
Lui era lì con il solito sorriso spavaldo e teneva in mano un contenitore di plastica vuoto.
Galina aprì la porta, ma rimase sulla soglia, senza invitarlo a entrare.
— Oh, ciao! — disse lui come se niente fosse. — Passavo di qui e… sai, mi son detto: magari sei di buon umore, magari mi dai qualcosa per i bambini. Cucinano sempre così bene da te… Non ti sarà mica avanzata un po’ di carne?
Lei non rispose subito. Lo fissava soltanto, tenendo la porta appena socchiusa.
— Che succede, crisi di generosità? — proseguì lui con una smorfia. — Non sei mai stata tirchia.
— Sai, Andrej, — disse infine Galina, — non ti è bastata la cena di ieri? E non ti vergogni a tirare in ballo i bambini? Io non sono Sergej, con me la pietà non funziona!
— Ma insomma, di cibo ne avete tanto, i soldi vi avanzano, — ripeté lui quasi citando se stesso, — non vi rovinerete.
Quella frase fece scattare Galina. Non aveva più intenzione di tacere.
— Ti sbagli. Mi rovino, sì. Ma non per il cibo: per il fatto che permetto a gente come te di trattare la mia casa come una mensa gratuita.
Il sorriso gli si spense dalle labbra.
— Ma dai, ti sei offesa? — provò a scherzare, ma la voce tradiva tensione.
— No, Andrej. Semplicemente ho smesso di essere comoda.
E, senza aggiungere altro, chiuse la porta proprio davanti a lui.
Sergej, sentendo il rumore, uscì dalla stanza.
— Chi era?
— Tuo fratello, — rispose calma. — Era venuto per il bis.
Sergej si aggrottò.
— E tu cosa gli hai detto?
— Che da noi non troverà più da mangiare.
Lui tacque a lungo, poi si sedette al tavolo, nascondendo il volto tra le mani.
— Galja, lo sai che adesso si offenderà?
— Che si offenda pure. Meglio lui che io mi senta ogni volta una serva in casa mia. Spiegaglielo bene, se vuoi.
In quel momento Galina capì che non aveva più paura né di Andrej né del malumore del marito. Perché da quel giorno, nella sua casa, avrebbero contato solo le sue regole.
La mattina successiva l’accolse con l’aroma del caffè e il tintinnio di un cucchiaino contro la tazza. Sergej era già in cucina. Sedeva al tavolo, scorrendo il telefono, e quando la vide fece finta che tutto fosse normale. Galina lo salutò freddamente e si versò del tè.
Le frasi della sera precedente le ronzavano ancora in testa, come un disco che si ripete. E più ci pensava, più capiva: quel discorso andava ripreso. Subito.
— Hai chiamato Andrej? Gli hai spiegato? — chiese fissando il bollitore.
— Sì, — rispose lui dopo una pausa. — Gli ho detto che va tutto bene, che non si preoccupi.
Galina alzò lo sguardo.
— Tutto bene? Così lo chiami?
Sergej si appoggiò allo schienale e sospirò.
— Gal, non voglio litigi. È pur sempre famiglia. E poi, che sarà mai se ha preso un po’ di carne? Hanno problemi, lo vedi anche tu.
— Io vedo solo una cosa, — lo interruppe lei, — che per loro è comodo venire a prendere, e per te è comodo far finta che sia normale.
Sergej rimase in silenzio, sorpreso da tanta fermezza.
Galina si alzò, posò la tazza nel lavandino.
— Da oggi, — disse piano ma con decisione, — in casa nostra valgono altre regole. Vuoi aiutare? Bene. Ma non a spese mie e senza umiliarmi.
Lui la fissò per qualche secondo, poi abbassò gli occhi sul telefono. Sembrava voler dire qualcosa, ma finì col limitarsi a un’alzata di spalle.
Quella mattina Galina si sentiva diversa. Non solo ferita, ma anche sicura di sé. Non avrebbe più sacrificato se stessa per la quiete altrui.
Prese borsa e chiavi.
— Esco, — disse sulla porta.
— E la cena? — chiese lui.
— Te la caverai, il frigo è pieno, — rispose lei chiudendosi la porta alle spalle.
Fuori l’aria era fresca, un leggero vento le muoveva i capelli. Camminava sapendo di aver fatto il primo passo verso un cambiamento. Forse doloroso, forse con resistenze da parte di Sergej. Ma una cosa era certa: non sarebbe più tornata al passato, dove la sua voce non contava.
Decise di fermarsi in un negozio e comprare qualcosa per sé. Non per la casa, non “per tutti”, ma solo per sé. Scegliendo una borsa nuova, si accorse di quanto fosse passato da quando non si concedeva un piccolo piacere.
Mentre era in fila alla cassa, il telefono vibrò. Sullo schermo apparve il nome di Sergej.
— Sì? — rispose cercando di mantenere la voce calma.
— Galja… è venuto Andrej, — disse lui, con in sottofondo risate e rumori. — Dice che voleva scusarsi…
Il cuore le si strinse. Suonava troppo falso. Andrej e scuse erano due mondi incompatibili.
— Arrivo subito, — disse secca e chiuse la chiamata.
Quando rientrò, Andrej sedeva in cucina con aria padronale, la gamba accavallata. Sul tavolo un piatto di panini e accanto un sacchetto pieno.
— Galja, — disse con tono mellifluo, — ma che cos’era tutto quello di ieri? Noi in famiglia siamo sempre stati così… E poi, il vostro frigo è pieno, non vi manca nulla.
Galina tolse il cappotto senza guardarlo.
— In famiglia “per bene” si chiede prima di prendere. Se prendi senza chiedere, ha un altro nome.
Andrej rise, ma nei suoi occhi passò un lampo di fastidio.
— Dai, da noi è sempre stato così: quel che è mio è di tutti.
— Forse da voi, — rispose lei calma. — Ma qui è casa mia. E le regole sono le mie.
Sergej era alla stufa, girava nervoso una tazza tra le mani. Non sapeva da che parte schierarsi.
Andrej si alzò, prese il sacchetto e borbottò:
— Ma se vi vedo che vivete bene, non vi porto via l’ultimo pezzo di pane. Fate come volete. Solo non lamentatevi poi se non ci sarà aiuto. A te, fratello, dico solo: hai viziato troppo tua moglie, è fin troppo testarda. Vedrai quanta fatica farai.
La porta si chiuse dietro di lui.
Galina si voltò verso Sergej.
— Hai sentito. La prossima volta, se tu non mi difendi, lo farò io.
Lui annuì piano. Nei suoi occhi brillava qualcosa di nuovo: forse comprensione, forse paura di perderla.
Galina prese la sua tazza di tè ormai freddo, lo versò nel lavandino e si sentì più leggera. Non era la fine del conflitto, ma l’inizio. Ma ormai sapeva: la sua voce non sarebbe più stata muta.
Passarono i mesi. Andrej e Lida non si fecero più vedere. Sergej, con sorpresa di Galina, non li invitò più, limitandosi a saluti rapidi per strada.
In casa calò una quiete nuova, senza l’ombra costante di visite indesiderate. E i rapporti con Sergej cambiarono. Non perfetti, ma più rispettosi. Cominciò a chiedere il suo parere, a consultarla.
Una sera confessò:
— Sai, credevo che se avessi accontentato tutti ci avrebbero rispettato di più. Invece così non rispettavano né me, né te.
Galina sorrise. Non il sorriso forzato di una volta, ma uno vero.
Adesso, guardando la luce del mattino filtrare in cucina, capiva: tutto era iniziato quella sera, quando qualcuno aveva riempito un contenitore di carne e detto: «Non vi rovinerete». E dal suo primo, deciso “no”.
Dentro sentiva una certezza nuova: i confini, una volta tracciati, non si cancellano. E se un giorno dovesse difenderli ancora, lei era pronta.