«Ah ah, tu sei una NULLITÀ e io SONO IL RE!» – sghignazzava mio marito. E pensare alla sua espressione quando ho poggiato sul tavolo l’assegno da milioni per quel “blog inutile”!

— Allora, hai “mangiato” un po’? — entrò Vlad in cucina con un passo ampio, quasi teatrale, scuotendo il mazzo di chiavi della sua nuova macchina come fosse un simbolo di potere. Il suo volto brillava di compiacimento, la voce tremava d’eccitazione. — L’affare è chiuso. Te l’avevo detto che li avrei schiacciati.

Anja non rispose subito. Era ancora seduta al tavolo, immersa nello schermo del portatile, dove le ultime righe di una mail si imprim evano lentamente nella sua mente. Nel vetro lucido si rifletteva il volto di Vlad: arrossato, trionfante, certo della propria ragione.

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Lei chiuse con cura il coperchio del dispositivo. Pochi secondi prima era rimasta aperta una scheda dell’app bancaria. Oltre quel confine invisibile c’era un numero che aveva sempre osato soltanto nelle sue fantasie più audaci: sette cifre separate da una virgola.

— Sono contenta che tu ce l’abbia fatta — disse con calma, facendo in modo che nella voce non trapelasse nemmeno un’ombra di ironia.

Vlad sbuffò e, con l’aria del padrone di casa, allontanò il portachiavi-appoggio, aprendo il frigo. Esaminò il contenuto con fare esperto, come se cercasse qualcosa di speciale per festeggiare. Ma molto probabilmente voleva solo dimostrare che la casa era sua.

— «Ce l’hai fatta»? Anička, non è «avere successo». È il risultato di intelligenza, intraprendenza e abilità nel lavoro, non quello di guardare le foto su Internet.

Si riferiva al suo blog. Quel blog che negli ultimi cinque anni aveva definito “sciocchezze”, “perdita di tempo” e “giocattolo per bambini”. Anja non aveva mai replicato. Perché farlo? Ogni volta che cercava di spiegare perché per lei fosse importante conservare le storie degli artigiani, lui rideva, come se la sua passione fosse qualcosa di cui vergognarsi.

Lei si alzò e si avvicinò alla finestra. La sera calava sulla città, le prime luci si accendevano in lontananza, riflesse nel vetro leggermente appannato. Sembravano tremolare come acquerelli dissolti. Negli anni si era abituata a guardare il mondo attraverso il velo di giudizi e sguardi altrui.

Cinque anni di umiliazioni, scherni e continuo svalutare. Cinque anni a raccogliere storie che nessuno voleva più ascoltare. Delle ricamatrici che conoscevano ogni punto, dei fabbri che sentivano il peso del metallo nelle mani, dei legatori di libri che mettevano l’anima in ogni copertina. Non era solo un blog. Era la sua vita, tessuta con pazienza e sacrificio.

— A proposito delle tue “immagini” — continuava Vlad, tirando fuori dal frigo una bottiglia di vino frizzante costoso — bisognerebbe proprio smettere. Presto avremo bisogno di più soldi. Ho già visto una nuova villa in campagna. Ma tu, con il tuo hobby, continui solo a perdere.

La parola “noi” uscì dalla sua bocca con leggerezza, come se fosse un accordo già sottoscritto. Ma Anja udì soltanto un “io”. Lui faceva sempre così: i suoi successi erano suoi, i bisogni economici invece comuni. Come se lei esistesse solo per fare da sfondo alla sua grandezza.

— Tu capisci almeno a che livello stiamo io e te? — Vlad si avvicinò, stappando con forza la bottiglia. Lo scoppio riempì la stanza, il tappo volò via e schizzi di bollicine si sparsero sul davanzale. — Io sono un uomo che risolve i problemi. E tu… tu chi saresti?

Si versò un bicchiere pieno, senza nemmeno offrirne uno a lei. Anja non si meravigliò. Non era una festa, era un trionfo, ma non il suo.

Lei guardava il suo riflesso nel vetro scuro: un sorriso compiaciuto, un abito costoso e la certezza di essere il re e dio di quel mondo. E lei soltanto uno sfondo.

Dentro non c’era né rabbia né risentimento. Solo una calma straniante, quasi rintoccante, come se osservasse la scena da lontano, come un film mediocre in cui l’eroina ha finalmente deciso di essere sé stessa.

— Tu sei povera, io sono di successo! — esclamò lui, ridendo come se fosse un fatto inconfutabile di portata universale. — E ricordati chi è che in questa famiglia porta il peso!

Bevve un sorso, aspettandosi pianti, isteria o almeno un silenzio sottomesso. Invece Anja si voltò lentamente verso di lui. Gli occhi sereni, attenti, appena incuriositi, come si guarda un libro letto e riletto.

Proprio in quel momento il telefono nel taschino del suo vestito vibrò.

Notifica. Dal compratore. Una grande rete mediatica internazionale aveva acquisito il suo “inutilе” blog per trasformarlo in un progetto globale. Le scrivevano di essere entusiasti del suo lavoro, della sua unicità, della sua capacità di vedere la bellezza nell’oblio.

— Sai, Vlad — cominciò lei a voce bassa, ma sorprendentemente ferma — forse hai ragione. Forse è davvero ora di cambiare qualcosa.

Prese il portatile dal tavolo.

— Io me ne vado. Prendo una stanza in albergo. Tu intanto festeggia: te lo sei meritato.

Vlad rimase immobile con il bicchiere in mano, il volto dilatato dallo stupore. Non si aspettava quella piega.

Anja era già nell’anticamera, infilando un leggero soprabito.

— Dove vai? — gridò lui, confuso. — Sei arrabbiata, Anja?

Ma lei stava già aprendo la porta d’ingresso. Si fermò un istante sulla soglia e, con lo stesso sorriso calmo, disse:

— Non preoccuparti. L’albergo lo pago io.

La porta della suite presidenziale si chiuse dietro di sé con un clic silenzioso, e Anja rimase sola in mezzo al salone enorme, con le finestre panoramiche a tutta parete.

Là sotto, la metropoli notturna scintillava di luci che un’ora prima le erano sembrate estranee e fredde.

Si tolse le décolleté e avanzò a piedi nudi sul morbido tappeto. La sensazione era impagabile. Non soltanto libertà: un ritorno a sé stessa.

Il telefono vibrava ancora, con dieci chiamate perse di Vlad. Poi messaggi: prima arrabbiati, poi preoccupati, infine supplichevoli: “Anja, mi preoccupo. Rispondi.”

Lei spense l’audio. Non era il momento.

Al mattino si svegliò con la luce del sole che invadeva la stanza. Per la prima volta da anni aveva dormito profondamente. Niente incubi, niente peso sul petto.

Ordinò la colazione in camera, quella che Vlad avrebbe chiamato “soldi sprecati”, e, seduta in accappatoio di seta davanti alla finestra, riaprì il portatile.

La attendeva una mail di Eleonora Van der Meer, responsabile della divisione europea della rete: l’invitavano a un incontro a Bruxelles. Già per domani.

Anja sorrise. Tutto stava accadendo troppo in fretta, ma non c’era paura. Solo entusiasmo.

Intanto Vlad stava andando in pezzi.

Aveva telefonato a tutte le conoscenze comuni, a quelle poche amiche di lei, perfino a sua madre, raccontando una versione da “crollo nervoso”.

— Era sempre un po’ fragile con quel blog — raccontava con tono compassionevole — ho paura che faccia qualche sciocchezza.

A mezzogiorno capì che la sua versione non reggeva: nessuno credeva alla pazzia di Anja. Ma tutti scorgevano la panico nella sua voce.

La goccia che fece traboccare il vaso fu una chiamata del suo socio in affari.

— Hai visto le notizie? Hanno venduto un blog di artigianato per otto milioni di euro! “I Fili del Tempo” si chiama. Non era per caso quello di tua moglie?

Vlad rimase di sasso. Quel nome gli diceva qualcosa: Anja lo aveva menzionato chiedendo soldi per un viaggio in un villaggio sperduto da una ricamatrice. Lui aveva solo riso.

Cercò su Internet febbrilmente: un articolo su Forbes, la foto di Anja. Sorridente, sicura di sé. E la cifra. Non grande: gigantesca. Più di quanto lui avesse guadagnato in tutta la vita.

Il mondo di Vlad — così stabile e prevedibile, dove lui era re e dio — crollò in un istante. Il suo volto si deformò in un misto di furia e terrore primordiale. Capì tutto: il suo silenzio, la sua partenza, le sue ultime parole. Con le sue conoscenze rintracciò l’hotel in meno di un’ora.

Anja aveva appena terminato una videochiamata con Eleonora, discutendo dettagli di contratto e strategie globali.

Si sentiva al settimo cielo: non era solo una creatrice di contenuti, le avevano proposto di guidare un’intera divisione e coordinare progetti in tutto il mondo.

Improvvisamente un forte bussare alla porta la fece sobbalzare. Non aspettava nessuno.

Guardò nel mirino e indietreggiò: era Vlad, con il viso pallido e gli occhi ardenti di rancore. Sembrava un uomo a cui avevano tolto tutto.

Aprì la porta.

— Dobbiamo parlare — ringhiò lui, spingendola e entrando nella stanza. Guardò l’eleganza della suite e strinse le labbra in un sorriso feroce: — Non è male, eh? Con i miei soldi?

Anja chiuse la porta alle sue spalle e si appoggiò a essa con la schiena. Aspettava proprio quella domanda.

— I tuoi? — ribatté, la voce ferma, senza tremore. — Vlad, con tutti i soldi che mi hai dato per… “spille”, non ci avrei pagato neanche una notte qui. Quindi no, non sono tuoi.

Lui si voltò, sbalordito. Il piano di entrare, intimidire, sottometterla stava fallendo. — Sono i nostri soldi, Anja! — cambiò tono, implorante. — Siamo una fami glia. Io ti ho sempre sostenuta, ti ho ispirata! Senza di me saresti ancora lì ferma!

— Ispirata? — Anja lasciò scivolare un sorriso sottile. — Definire il mio lavoro “sciocchezze”? Consigliarmi di “trovare un lavoro normale”? Oppure ieri, quando mi hai detto che ero povera? Dimmi tu come funzionerebbe la tua ispirazione.

Ciascuna sua parola colpiva nel segno. Vlad sobbalzò come scosso da una scarica.

— Tu non capisci nulla dei grandi soldi! — urlò tornando all’aggressività. — Ti inganneranno! Questi squali aziendali ti divoreranno senza rimorso! Hai bisogno di me. So gestire i patrimoni, possiamo moltiplicare tutto. Costruire un impero!

F fece un passo verso di lei, braccio teso, come a offrire un biglietto per il suo “nuovo mondo”. — Il tuo impero è crollato ieri sera, Vlad — lo interruppe Anja, spostandosi un passo indietro. — Più o meno nello stesso momento in cui hai aperto il tuo spumante. E sai una cosa? Non voglio un impero. Voglio la mia vita. Quella che costruirò con le mie forze.

Si avvicinò al telefono sul tavolo e digitò rapidamente un numero.

— Cosa stai facendo? — chiese lui, per la prima volta con la voce incrinata dal vero terrore. — — Sto chiamando la sicurezza. Credo che il nostro discorso sia finito.

— No! — lui si slanciò verso di lei. — Anja, ti prego! Ho capito tutto! Ho sbagliato!

Era una scena pietosa: Vlad, potente e temuto, stava in ginocchio nella suite supplicando quella che fino a ieri considerava sua proprietà.

— Non hai capito un bel nulla — rispose Anja con calma immutata. — Hai semplicemente visto dei numeri su un conto bancario che non è il tuo. Il mio avvocato ti contatterà per il divorzio.

— A proposito della casa che hai visto — continuò lei, senza esitazione — puoi scordartela. Con la tua ultima “affarone” non arriveresti neanche al mutuo iniziale.

Prese il telefono e confermò la chiamata.

Pochi minuti dopo due guardie entrarono con passo deciso.

— Vi prego di accompagnare fuori quest’uomo — ordinò Anja indicando Vlad. — Ha sbagliato porta.

Lui non oppose resistenza: guardò Anja con occhi vuoti mentre lo scortavano via. Nel suo sguardo non c’era più furia, ma solo desolazione.

Quando la porta si richiuse, Anja sospirò e si avvicinò alla finestra panoramica.

La città sotto di lei vibrava di vita: finalmente non si sentiva più sola. Faceva parte di quel mondo.

Libera, forte e infinitamente felice.

Domani avrebbe preso l’aereo per Bruxelles.

Domani sarebbe iniziata la sua vera vita.

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