Kirill era di fretta oggi. Erano già le otto di sera e non aveva ancora scelto il regalo, né comprato i fiori, né tantomeno cambiato d’abito. Oggi era il compleanno di sua madre, Svetlana Eduardovna Krasilnikova, e per l’occasione si erano radunati numerosi ospiti. La festa si sarebbe tenuta nella loro villa di campagna, mentre alla cena erano invitati soltanto i parenti: le personalità importanti, i partner commerciali e i giornalisti sarebbero arrivati sabato.
Questi “ritrovi famigliari” lo innervosivano da tempo. Le amiche di sua madre non mancavano mai di fare domande indiscrete: “Quando ti sposi? Quando ci regalerai gli eredi dell’impero Krasilnikov?”
Ma ciò che lo irritava di più era vedere zie, amiche e procugine contendersi l’onore di presentargli le loro nipoti, lodando l’“abituale sposa perfetta”.
Fino a poco tempo prima avevano preso di mira sua sorella minore, la ventenne Camilla; poi, da quando aveva iniziato a frequentare il figlio dell’editore Eremov, l’avevano lasciata in pace, complimentandosi solo per la sua scelta. Ora però tutta l’attenzione era di nuovo puntata su Kirill.
Faceva di tutto per evitare quelle signore petulanti, ma oggi non avrebbe potuto: saltare il compleanno di sua madre avrebbe suscitato il suo risentimento per molto tempo.
Immerso nei suoi pensieri, arrivò davanti al negozio di fiori. Era una piccola bottega vicino al mercato centrale, un luogo dove di solito non metteva piede: difficilmente vi si trovavano rose keniane o tulipani olandesi ancora ricoperti dalla rugiada del mattino, ma non aveva scelta. Servivano fiori in fretta.
Entrò e vide che il negozio era vuoto. Guardandosi intorno, notò che i fiori erano in buone condizioni, restava solo da far arrivare il commesso.
Ma nessuno si faceva vivo.
— Buonasera! C’è qualcuno? — gridò verso il retrobottega.
— Commesso! Ehi, chi c’è al banco? Posso aspettarvi o no? — alzò la voce più del dovuto, arrossendo per il nervosismo. Di solito nei boutique e nei saloni dove si recava subito correvano diversi consulenti ad assisterlo. «Non è decisamente la mia serata», pensò.
Proprio in quel momento, dal retrobottega sbucò una ragazza in un grembiule blu scuro.
— Che urli come al mercato? Non potevi aspettare un secondo? — chiese bruscamente.
— Perché dovrei aspettare? Il vostro lavoro è attirare clienti, vendere prodotti e garantire un servizio che faccia tornare la clientela — si indignò Kirill. — Il mercato dei fiori è saturo, la concorrenza spietata, e potrei benissimo andare in un altro negozio.
— Allora vai, che urli a fare? — scrollò le spalle la ragazza. — Va bene, se non ti serve niente, me ne vado.
Si voltò per andarsene.
— Aspetta!— lo fermò lui — Sono di fretta e non ho tempo di girare per la città. Cosa avete per una donna di mezza età? Di bella presenza, elegante, benestante? È il compleanno di mia madre.
— Se è per la tua mamma, quanti anni ha? È importante per la scelta dei fiori — disse lei con aria di chi fa sul serio.
— Non lo so — balbettò Kirill.
— Ecco, vedi — fece un’espressione contrariata.
— No, tu non hai capito: mia madre nasconde l’età. Penso che neanche lei ricordi quanti.
— Ah, ci credo — scoppiò a ridere la ragazza. — Anche la nonna Matrena non ricordava la sua età, e da bambini ridevamo: dicevamo che aveva sedici anni, ma stava per compierne settanta.
Kirill rimase serio.
— Che c’entra tua nonna? Mia madre è in splendida forma e non vuole mostrarsi anziana. Abbiamo bisogno di fiori.
— Vi andrebbero bene delle rose? — fece la ragazza, gonfiandosi le labbra.
— Sì, rose — sospirò lui —. Prepara un mazzo e poi vado. Sono in ritardo.
— Non so fare i mazzi — scrollò le spalle lei —. Sono l’addetta alle pulizie. La fiorista Antonina è in bagno dal giorno prima: le fa male lo stomaco. Io tengo d’occhio il negozio.
Kirill la guardò senza parole: era uno shock, non aveva mai vissuto nulla di così surreale.
— Va bene — disse —. Impacchettale come puoi, almeno legale e metti un nastro. Ci riesci? — tirò fuori un fazzoletto e si asciugò la fronte.
— Ce la faccio — si animò la ragazza e con destrezza iniziò a raccogliere le rose.
Kirill l’osservava: aveva capelli splendidi, lineamenti perfetti, pelle impeccabile, occhi intensi. Dita lunghe, polsi sottili, come una pianista.
«Che bellezza — pensò —. Magari la invito stasera a fare la parte della mia fidanzata. Con quel viso la passerebbero per un’aristocratica. Postura, capelli, bellezza naturale… Anche il suo vestito umile si potrebbe spacciar per alta moda. Le nostre signore ci crederebbero in pieno».
— Come ti chiami? — chiese all’improvviso.
— Liza. Liza Snegina.
— Bel nome e cognome.
— Ah, quello me l’hanno dato in orfanotrofio. Mi hanno trovata nella neve, e da lì Snegina — rise.
— Nella neve? — rimase sbalordito.
— Non letteralmente nella neve — precisò lei —, su una slitta. Mi hanno lasciata davanti alla porta dell’orfanotrofio. Era inverno, tanta neve, e così è nato il cognome.
Si fermò, studiando il suo volto scioccato.
— Ma a te che importa? Non sai che a volte i bambini vengono abbandonati?
— Lo so — mormorò lui.
— Ecco, tieni il mazzo — Liza gli porse una composizione davvero discreta.
— Ascolta, Liza — disse Kirill sorridendo —, stasera vuoi guadagnare quanto in più mesi di stipendio?
— Cosa?! Da maniaco! Chiamo la polizia! — prese in mano un secchio.
— No, aspetta! Non intendo quel genere di soldi. Ti offro un pagamento per un piccolo favore: stasera devi fingere di essere mia moglie. Solo un paio d’ore in casa dei miei, poi ti riaccompagno a casa.
— Perché? — chiese lei abbassando il secchio.
— Al cenone ci saranno i parenti e le zie ricominceranno con le domande sul perché non sono ancora sposato. Vorrei far loro uno scherzo: presentarti come mia moglie e finalmente staranno zitti.
— Ah, e poi dirai che era uno scherzo? — sorrise incuriosita Liza.
— Già, ma gli insegnerà a non immischiarsi negli affari altrui.
— E davvero non ti sposi? — chiese Liza con curiosità.
— Ehi, anche tu! — scoppiò a ridere Kirill —. Forse perché non ho ancora trovato l’amore vero. Non è ovvio?
— Io pensavo che per i ricchi l’amore non fosse la priorità. Più importante il business, la fusione di capitali e tutte quelle cose.
— Per me l’amore viene prima di tutto — sorrise lui.
— Va bene, ti aiuto — accettò Liza con leggerezza, sorprendendo di nuovo Krasilnikov —. Ma prima aspetto la fiorista e mi cambio.
— Liza, sto correndo — disse lui —. Sei vestita decentemente? Hai altro oltre al grembiule?
— Sono sempre vestita decentemente — si offese lei.
— Non prendertela, Liza Snegina. Sono sicuro che stai benissimo; volevo solo sapere. Ecco i soldi e l’indirizzo. Dammi il tuo numero, ti chiamo subito così hai il mio.
— Finisci i tuoi impegni, prendi un taxi e ti aspetto, d’accordo? Ah, parleremo da “tu” e mi guarderai con aria innamorata.
— Ci proverò, non preoccuparti. All’orfanotrofio ero la star del teatro — disse Liza.
— Allora sono tranquillo — rise lui.
Tutto il tragitto Kirill guidò con il sorriso, ripensando alla conversazione con la sua improbabile fiorista. Non capiva perché lei lo rallegrasse così: c’era in lei una luce che metteva voglia di cantare.
Accese la radio e intonò:
«Tu sei unica, tu sei così… nel mondo non c’è un’altra come te…»
Arrivò appena in tempo alla cena. Il bouquet ebbe un grande successo: zia Rita disse che era identico a quello regalato da un miliardario italiano a Palermo; gli ospiti annuivano compiaciuti, definendolo “lusso raffinato”, mentre Kirill a stento conteneva il riso.
Poi la conversazione scivolò sul matrimonio di Camilla e, naturalmente, sul “povero” scapolo Kirill.
— Kirill, quando vedremo l’erede dell’impero Krasilnikov? — sospirò zia Zina. — Siamo ancora giovani, vogliamo coccolare un piccolo principe.
«Ecco, ricomincia», pensò lui, ma si limitò a sorridere.
— È difficile capire i giovani di oggi — intervenne zia Rita —. Una ragazza perbene si trova sempre meno.
— Basta con la farsa! — sbatté un pugno sul tavolo il nonno Boris Petrovich, generale in pensione di 79 anni —. Siete insopportabili con questi fidanzamenti! Presto vi toccherà far da balie a voi stesse, vecchie fanfare!
— Lei è la prima in fila, Boris Petrovich — ribatté zia Rita.
— Papà, basta barzellette da caserma! — sbottò Svetlana Eduardovna —. Manca di tatto!
— E invece tachinare il nipote è tattico? — ringhiò il nonno —. Rita, Zina, tu, Svetlana… siete rimaste contadine di Kukuschkino. Il mio aiutante Shura Alyabyev diceva: “Puoi portare la ragazza dalla campagna in città, ma la campagna dalla ragazza no mai”.
Kirill e suo padre intervennero in fretta:
— Papà, non rovinare la festa. Oggi è l’anniversario di Svetlana.
— Sono d’accordo! — sbraitò il generale —. Parliamo della festeggiata, non del matrimonio del nipote. Lui si regolerà da solo. A proposito, quanti anni hai, Svetlana?
— Quarantacinque — mormorò lei tra i denti.
— Quarto anno di fila? — rise di gusto il generale.
— Vitalij, calmi tuo padre — sibilò Svetlana.
— Ma… quando conosceremo la fidanzata di Kirill? — chiese zia Rita.
Il nonno aggrottò la fronte, ma il nipote lo precedette:
— La fidanzata no, ma la moglie… eccomi qua.
Tutti tacquero. Persino Camilla distolse lo sguardo dal telefono.
— Incredibile. Kirill, ti sei sposato?! — esclamò lei.
In quel momento suonò il campanello.
— Sì, cari, sono sposato, e questa è mia moglie. — Kirill si alzò dal tavolo.
— Vedremo un po’ qual è questa “ranocchia in scatola” — commentò il nonno con un sorriso beffardo —. Sono sicuro che mio nipote abbia scelto la migliore.
Le zie si scambiarono uno sguardo, e Svetlana alzò gli occhi al cielo.
Alla porta del giardino Kirill vide il taxi e… rimase a bocca aperta.
— Liza, che trucco da battaglia è questo? E queste collane da pellerossa? Due ore fa stavi benissimo!
— È bigiotteria di pregio! E la fiorista mi ha truccata.
— Perché zoppichi? Dio, non posso presentarti così alla famiglia!
— Le scarpe sono troppo grandi.
Liza si rattristò: sperava tanto di guadagnare quella sera per portare Sonia allo zoo e farle dei regali.
— Ho le mie scarpe qui nello zaino, posso cambiarmi.
— Sbrigati! E togliti quelle collane. Poi andiamo alla serra, lavati. Senza trucco stai molto meglio.
Dieci minuti dopo entrarono nel salone. Gli ospiti restarono a bocca aperta.
— Non temere, sono con te — sussurrò Kirill, accompagnandola al tavolo.
La fece sedere accanto a sé e discretamente le infilò al dito un enorme anello di diamanti (chissà da dove veniva).
«Sciocco, potevi almeno chiedere la misura», pensò Liza, cercando di non far cadere il “masso”.
— Questa è Liza, mia moglie — annunciò lui.
Le bocche di tutti si spalancarono. Nessuno se lo aspettava.
— Ciao tesoro, che bella che sei! — si congratulò il nonno Boris Petrovich, facendole tre baci sulle guance. — Puoi chiamarmi semplicemente “nonno”.
— Liza, racconta dove hai conosciuto mio figlio — disse Svetlana.
— Al negozio — rispose lei, ma Kirill la stuzzicò con un gomito per farla tacere.
— Davvero? Quale negozio? Non sapevo che mio nipote frequentasse i negozi — rise zia Rita. Liza si fece rossa, incerta su come comportarsi. «Falsa» decise di raccontare ciò che conosceva meglio:
— In un negozio d’arte. Cercavo tele e lampi un amico di Kirill…
— In un negozio d’arte?! — esclamò zia Zina, spalancando gli occhi. — Kirill, che ci facevi lì?
— Ehm… ero con un amico che cercava un regalo per la figlia, e siamo passati lì — inventò lui, goffamente.
Liza cercò di salvare la situazione:
— Io passavo di lì per caso, ci siamo scontrati, sono cadute delle spatole… e le nostre mani si sono toccate. In quel momento ho sentito un brivido, e lui ha capito che non avrebbe potuto vivere un giorno senza di me.
Kirill la punzecchiava sotto il tavolo per farla tacere, ma ormai lei era partita in quarta:
— Mi ha detto: “Signorina, se sapessi dipingere, farei il tuo ritratto ogni giorno. Ma non so farlo. Almeno lasciami fotografarti”. E io ho risposto: “Ma no, non sono una star per posare”. E lui: “Tu sei una stella, solo molto distante, sconosciuta a tutti, ma la più bella dell’Universo”.
Tutti ascoltavano a bocca aperta, mentre il nonno sorrideva compiaciuto.
— Che romantico! — sospirò zia Rita, tenendosi le mani al petto. — Liza, lei è pittrice? Ha una galleria? Espone da qualche parte?
— Basta, — intervenne Kirill nervoso —. Mamma, ancora auguri di buon compleanno. Io e Liza dobbiamo proprio andare. — Prese Liza per il braccio e la condusse verso l’uscita.
Le zie e sua madre si alzarono per salutare gli “sposini”:
— No, Kirill, non si può! — protestò la madre —. Cosa diranno in città? L’erede dei Krasilnikovs si è sposato e non c’è stata né cerimonia né annuncio sui giornali!
— Liza, verrete sabato alla festa? Ricordi, alle sette al “Russo Casa”? — incalzò zia Zina.
— Liza, dove sono i tuoi genitori? Devo conoscerli — gridò zia Rita.
Finalmente salirono in macchina. Kirill partì di scatto, poi si fermò alla prima curva per riprendersi:
— Che diavolo hai combinato, Liza?! — sbottò —. Quale negozio? Quali stelle? Io volevo solo che stavi zitta! E adesso? Devo portarti anche sabato dove ci saranno i giornalisti!
— Non “portarmi” — scrollò le spalle lei —. Hai detto che poi avresti confessato. Fai pure.
— Già — tirò fuori il portafoglio —. Ecco i soldi, te li meriti.
— Sono troppi. Non li prendo — si spalancò Liza.
— Solo gli sciocchi rifiutano i soldi — brusì lui —. Sei sciocca?
— No, ne ho bisogno — prese le banconote e le mise in borsa —. Addio, Kirill.
Provò ad aprire la portiera, ma non si aprì.
— Stai seduta, ti riaccompagno — borbottò lui, e la macchina ripartì.
Arrivarono in un modesto condominio di periferia. Kirill scese per aprirle l’uscio.
Liza uscì appoggiandosi al suo braccio, poi scivolò e afferrò la camicia di Kirill: c’era una pozzanghera dietro l’auto. In un attimo lui finì a terra, lei sopra.
— Ma sei impazzita?! — gridò lui.
— Sei stato tu a parcheggiare lì! — replicò lei.
— Non si vedeva niente con questo buio!
Si rialzarono: il suo completo era insudiciato.
— Andiamo a casa mia — disse Liza. — La padrona sarà arrabbiata, ma una volta non fa male. Dopotutto sei il mio “marito per una sera”.
A Kirill non veniva da ridere, ma la seguì. Nell’appartamento li accolse l’anziana pensionata Anna Stepanovna:
— Liza, perché così tardi? Chi è questo? Hai portato a casa un uomo?
— Nonna Anja, è il mio “marito”. In realtà non è il mio marito, ci siamo presentati così ai suoi genitori…
La vecchietta rimase di sasso:
— Sei sicura di non aver perso la ragione?
— Anna Stepanovna, posso fargli fare un bagno e poi se ne va?
Lei fece un cenno:
— Faccia pure. Gli porto i vestiti di Ivan Sergeevich.
— No, grazie! — protestò Kirill —. Mi lavo e me ne vado.
Un’ora dopo i suoi vestiti asciugavano sul balcone mentre loro sorseggiavano il tè nello studio di Liza, circondati da tele, cavalletti e colori.
— Davvero sei una pittrice? — chiese lui —. Posso vedere le tue opere?
— Ecco — indicò un dipinto.
— Non capisco molto di arte, ma mi piace. Me lo vendi?
— Mi hai già pagata abbastanza — rispose lei senza entusiasmo.
— Ma questa mi piace davvero — fece lui —. Sarebbe perfetta nel mio ufficio.
— Prendila pure — disse lei indifferente.
Kirill cercò il portafoglio, poi si ricordò di indossare gli abiti altrui.
— Non servono soldi — scrollò le spalle lei.
— Dimmi, Liza — continuò lui —. Perché fai la donna delle pulizie se sei un’artista talentuosa?
— Grazie — accennò un sorriso —. Ma a chi importa? Vendo qualche quadro al mercato vicino alla fontana, faccio qualche commissione, ma non basta. I materiali costano, ho poco tempo libero. Qui almeno ho uno stipendio fisso e la padrona è buona, concede qualche bonus.
Poi aggiunse con esitazione:
— C’è un’altra cosa… Visito una bimba in orfanotrofio. Sonia. Ha sei anni ed è molto sola.
— È una tua parente? — chiese lui piano.
— No. Solo… un’amica. Le insegno a disegnare. Vorrei adottarla, ma non posso ancora.
— Perché? Se è una questione di soldi, ti aiuto — disse Kirill.
— Non è una questione di soldi. Non ho una casa adatta a un bambino, né le condizioni. Non sono sposata… Anche se ormai non è la priorità. Per ora vado a trovarla.
Kirill la guardò intensamente:
— Sei orfana? Non hai parenti?
Liza annuì in silenzio.
— Ma lo Stato non ti assegna un alloggio?
— Sì, ma l’ho venduto per aiutare qualcuno in difficoltà. E poi quella persona è sparita. Così è andata la vita da allora: tutti mi abbandonano, a cominciare da mia madre.
Il suo sorriso era amaro. Kirill la guardò con uno strano misto di rabbia e pietà.
Liza si alzò e andò al balcone:
— I tuoi vestiti si sono asciugati. Vai via prima che i vicini si sveglino. Non voglio pettegolezzi su visite notturne in macchina di lusso.
— Sì, certo — disse lui, si rivestì, prese il quadro e se ne andò. All’uscio si salutarono con una stretta di mano.
Seduto in auto, rimase a lungo fermo al volante a fissare la finestra di Liza. Lei sbucò e gli fece cenno di andarsene.
A casa Kirill dormì fino a sera. Si svegliò per le chiamate di Camilla:
— Kirill, dove sei? Passami il numero di Liza, devo parlarle subito!
— Dimmi a me e glielo passo — disse lui, confuso.
— Scherzi? Perché dovrei parlare con tua moglie tramite te? Dove è adesso?
— È in doccia con me! — mentì lui —. Ti richiamerà più tardi.
Riattaccò e corse al negozio di Liza. Comprò tutti i fiori rimasti e convinse la padrona a lasciarla uscire prima.
— Sei impazzito? Dove metto tutti questi fiori? — protestò Liza nel parcheggio.
— Mia sorella vuole il tuo numero.
— Allora dì che era uno scherzo!
— Lo dirò. Ma prima parli con Camilla.
— Va bene — sospirò Liza —. Ma in cambio mi accompagni in orfanotrofio e mandi i fiori lì, al personale.
All’orfanotrofio Liza fu accolta come una di famiglia. La signora Matrena Ivanovna strizzò gli occhi verso Kirill:
— Sei tu lo sposo della nostra Liza?
— Si può dire — rispose lui con un sorriso.
— Non prendere in giro la gente! La conosco da quando era in fasce.
Kirill capì all’istante: quella era la nonna Matrena di cui Liza gli aveva parlato.
— Non le farò del male. Raccontami di lei — chiese.
— Ma certo — disse la guardiana, accomodandosi —. Ascolta…
Fu così che Kirill apprese la storia di Liza: trovata piccolissima su una slitta davanti all’orfanotrofio poco prima del Capodanno del 2004, cresciuta fra affidamenti e internati, iniziata all’arte dal dolore e dal silenzio, e poi finalmente adottata dal cuore di Matrena Ivanovna.
Colpito dal ricamo sul fazzoletto—“Lev Kudrickij”—promesse a Liza che avrebbe cercato i suoi veri genitori. Scoprì presto che Lev Michajlovič Kudrickij, noto pittore residente vicino alla villa dei Krasilnikov, era il padre naturale di Liza: aveva perso la figlia Eve tre anni prima in un tragico incidente all’estero.
Quando Kirill mostrò il fazzoletto a Kudrickij, l’artista confermò che era un dono di un amico italiano per la figlia: ne avevano solo tre esemplari, uno per ciascuno dei suoi genitori e per Eve. Raccontata la storia, i Kudrickij—Lev e sua moglie Ekaterina—riconoscevano finalmente Liza come loro figlia.
Dopo lacrime e commozione, tutti si riunirono: Liza divenne ufficialmente “figlia” e nipote riscoperta, e insieme decisero di far adottare Sonia. Alla fine, tra promesse di matrimonio vero e nuove famiglie unite, quella bambina trovata nella neve visse finalmente il lieto fine che meritava.