«Non hai lavorato, hai messo al mondo dei figli – adesso vivi come ti pare!» disse il marito dopo il divorzio, ma se ne pentì subito.

Avendo ospitato i parenti per qualche giorno, dopo una settimana li mandava via con la scopa

Proprio mentre Tatyana Leonidovna stava versando il tè — il solito, al bergamotto — squillò il cellulare. Lei trasalì: erano già quasi le nove di sera.
— Zia Tania? Sono Rita! Margarita! Ti ricordi di me?
Certo che se ne ricordava. Era sua nipote: chiassosa, coi capelli rossi e quel neo sul labbro. L’ultima volta che si erano viste era stato forse cinque anni prima, al funerale.
— Capisci, è successa una cosa — la voce al telefono suonava suadente e vivace — io e Serghej, cioè mio marito, siamo venuti per vedere un appartamento. Ma non ci siamo riusciti. Possiamo stare da te? Giusto un paio di giorni!
Tatyana Leonidovna rimase in silenzio. Dalla cornetta continuavano a piovere parole:
— Hai un trilocale e vivi da sola! Saremo discreti, te lo prometto. Solo due o tre giorni, fino a quando non troviamo qualcosa!
Lei posò la tazza e guardò Boris. Il gatto dormiva placido, rannicchiato sul divano. A lui che importava? A lei, però… sospirò:
— Va bene, venite.

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Riattaccò e si rese conto di non aver nemmeno provato a rifiutare. Come sempre: imbarazzo, pensò, e poi è la figlia di sua sorella.
Riaccese il bollitore, prese lenzuola e asciugamani dall’armadio. Oggi non era passata al negozio, ma c’era pane, salame… cosa avrebbero voluto mangiare quei due giovani?
Boris sbadigliò e la guardò perplesso, come se avvertisse che nel loro tranquillo mondo qualcosa era cambiato.
— Tranquillo, Borja — disse Tatyana Leonidovna accarezzandolo dietro l’orecchio — sono parenti, e solo per poco.

Passarono cinque giorni. Non due, non tre. Tatyana Leonidovna era seduta in cucina, a osservare Margarita mentre riordinava i suoi barattoli di spezie: li prendeva e li spostava, come se fosse casa sua.
— Zia Tania, ma come fai ad avere queste cose così antiquate? — esclamò Margarita, roteando in mano una vecchia saliera. — È roba da antiquario!
Tatyana Leonidovna tacque. Cosa poteva rispondere? Che il valore degli oggetti non si misura dalla loro novità?
Dalla stanza accanto arrivava il fragore della televisione: Sergio, il marito di Margarita, stava guardando un altro film d’azione, per il terzo giorno di fila.
— Allora, avete trovato casa? — chiese Tatyana Leonidovna con voce neutra, come se non volesse far trasparire un briciolo di impazienza.
— Cosa? — Margarita sbatté lo sportello dell’armadio. — Per ora niente. I prezzi sono folli! E la qualità è scandalosa. Vedremo un paio d’altri appartamenti, tu non ci butterai fuori, vero?
E le sorrise, con quel sorriso che suonava più come un comando che come una richiesta: «E dove vuoi che andiamo?»

È passata una settimana. Tatyana Leonidovna si alzò alle sei del mattino, come sempre, e subito udì una voce irritata:
— Zia Tania, ma che frulli da stamattina? La gente ha bisogno di dormire!
Si scusò. Nella sua stessa casa.
A pranzo la cucina era un caos, e lei non aveva nemmeno cucinato: briciole sul tavolo, piatti sporchi nel lavandino e un frigorifero completamente vuoto. Solo un barattolo di cetriolini solitario e una bottiglia di ketchup.

Che strano sentirsi di troppo nella propria casa, al proprio tavolo. Persino il caro gatto Boris sembrava scomparso: si rifugiava sotto il divano non appena vedeva Sergio, da quando questi lo aveva sgridato perché il micio gli si era strofinato sui pantaloni.
— Bestia schifosa! Spargi peli ovunque!
E Tatyana non aveva detto nulla. Era rimasta in silenzio, come sempre.

La sera, in fila al supermercato, all’improvviso pensò: e se non se ne andassero mai? Se quei «pochi giorni» durassero in eterno? L’idea le parve folle, ma stranamente realistica.

A casa, la aspettava Margarita con uno strano annuncio…

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